«Nessuna scissione, ma siamo stati ignorati»

Claudio Grassi: «Bertinotti ha negato l’esistenza di una questione democratica dentro il partito»

«Assolutamente no, non ci passa proprio per la testa». Per ora la scissione dei cosiddetti «ex cossuttiani» non è all’ordine del giorno, anche se Claudio Grassi, primo firmatario della mozione «Essere comunisti», appare frastornato dopo la relazione con cui il segretario gli ha quasi indicato la porta di uscita dal partito.

Le conclusioni di Bertinotti hanno portato alla luce senza ipocrisie le divergenze che ci sono all’interno di Rifondazione. Il percorso politico, identitario e culturale del Prc però è da oggi più chiaro. Che tipo di opposizione vi attrezzate a fare?

Lavoreremo nel partito. Le conclusioni del segretario confermano il tratto principale di questo congresso, e cioè una chiusura netta della maggioranza verso le minoranze. E’ molto grave che lo statuto sia stato approvato solo dalla mozione 1. Il rifiuto della proposta fatta da Cremaschi di rinviare la discussione di un giorno è stato un altro segnale molto negativo.

Bertinotti ha rivendicato la crescita e perfino la valorizzazione delle varie «correnti», negando l’esistenza di una «questione democratica» dentro il Prc.

Bertinotti ha banalizzato e stravolto le nostre posizioni non riconoscendogli neanche dignità politica. Stiamo ai fatti: secondo noi non si può decidere di portare il partito nel governo ancora prima di iniziare a discutere sui programmi. La nostra critica non è solo un passaggio tattico ma è una scelta che guarda al futuro. Al contrario di quello che ha detto Bertinotti, vediamo delle grandi difficoltà a costruire un’intesa vera e avanzata con le forze di centrosinistra.

Le limitate convergenze di questo congresso lasciano ipotizzare una confluenza delle varie mozioni in un lavoro comune?

Tra le varie mozioni ci sono posizioni politiche e percorsi culturali molto diversi che portano al mantenimento delle rispettive autonomie. Per ora tutte le minoranze non entreranno nella direzione nazionale. Se dopo il gelo congressuale la maggioranza avanzerà altre proposte le valuteremo.

Ma non crede che la segreteria unitaria uscente, di cui lei faceva parte, abbia rivelato molti limiti?

Io ho fatto parte della segreteria del partito per dieci anni. Il fatto che il segretario abbia ridotto il mio impegno a quest’ultimo periodo è anche ingeneroso. A proposito della rottura con il governo Prodi vorrei ricordare che anch’io fui protagonista di quella scelta, che senza i compagni che oggi hanno sostenuto la mia mozione probabilmente sarebbe finita in minoranza

Sulla nuova «identità» di Rifondazione, sulla sua «cultura», le vostre posizioni non possono essere più diverse. A mio avviso è la frattura più difficilmente ricomponibile…

Sulla nonviolenza come scelta assoluta per esempio noi esprimiamo un netto dissenso. Sono posizioni che un punto di vista comunista non ha mai accolto. Il nostro passato va criticato e discusso ma non rimosso. Ciò detto una discussione è necessaria ma va fatta con grande serietà. Noi siamo interessati a un lavoro di ricerca, però vogliamo anche difendere il nostro passato, a maggior ragione in un momento di forte revisionismo come questo. Per noi bisogna «essere comunisti» con un certo orgoglio.

Bertinotti si è rammaricato del clima di scontro di questo congresso. Non crede che anche voi dovreste fare «autocritica»?

Quando si discute tra compagni bisogna rispettarsi e avanzare argomenti invece che insulti.

Escludi scissioni, critichi la crisi di democrazia interna al partito, la vostra opposizione quindi passa per la società e i movimenti?

Con la Fiom, i Cobas e il movimento per la pace abbiamo costruito relazioni già prima di questo congresso. Abbiamo partecipato alla riunione del manifesto del 15 gennaio, crediamo che quel processo di unità tra le forze della sinistra di alternativa vada incoraggiato, anche per farlo incidere nella discussione programmatica con le altre forze del centrosinistra.