Il primo è stato Pietro Ichino, poi la parola è passata a Tiziano Treu, che sul Corriere della sera ha rilanciato la provocazione: la Cgil deve smetterla di rimandare la riforma del modello contrattuale. L’ex ministro del governo Prodi, responsabile dei problemi del lavoro della Margherita, invita dunque Epifani ad aprire una trattativa per cambiare l’accordo del 1993, ormai superato e cambiare il modello. Non è d’accordo con lui il suo collega dei Ds, il responsabile del lavoro e delle professioni, Cesare Damiano, secondo il quale se si chiede non una «manutenzione leggera» del modello, ma una revisione seria, è necessario rimandare tutto a dopo le elezioni perché ora non sappiamo quale quadro politico si determinerà. E’ anche evidente, dice Damiano, che la concertazione è stata uccisa dal governo di centrodestra e che un futuro governo di centrosinistra dovrà scegliere la costituzione di un nuovo grande patto sociale fondato proprio sulla concertazione. Fino a quel momento risulta vano qualsiasi discorso sui modelli contrattuali.
Anche dall’interno del sindacato arrivano risposte negative alla provocazione di Treu. Per il segretario confederale Giorgio Santini, la riforma del modello contrattuale è un tema che andrà messo in agenda subito dopo le elezioni. E’ evidente, infatti, che ora non ci sono le condizioni per avviare il discorso, anche se ce ne sarebbe bisogno visto che il modello del ’93 è stato superato dai fatti. E non si tratta solo di modelli astratti, ma di pratiche, visto che i ritardi dei contratti hanno soffocato anche la contrattazione decentrata.
E mentre anche dal segretario generale della Uil, Angeletti, è arrivato uno stop, da casa Cgil la risposta a Treu è netta. Il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, boccia di poca serietà queste proposte. E’ evidente, dice, che siamo di fronte solo a posizionamenti politici in vista delle elezioni. Di serio non c’è nulla, visto che non abbiamo neppure un governo (che pure è parte in causa) con cui trattare. La discussione, per come è stata impostata, è anche confusa: si fa finta di non vedere che il ritardo di 13 mesi del contratto dei meccanici non è dipeso dalle regole, ma dal «merito». Del resto le proposte di Confindustria presentate a settembre appaiono come una vera controriforma che rimette in discussione anche il diritto di sciopero. E sono state proprio le idee di Confindustria le ipotesi bocciate dal contratto firmato. Di linea «autoritaria» degli industriali parla anche Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom. Tutto il dibattito che si sta sviluppando intorno al modello contrattuale, appare solo come «fumo a manovella», visto che l’obiettivo vero, magari non dichiarato, è la cancellazione del contratto nazionale.
Dalla Cgil risponde Carla Cantone, segretaria confederale, secondo la quale è alquanto strumentale parlare oggi di urgenza della riforma del modello contrattuale. E’ come dire, spiega la sindacalista, che la colpa del declino industriale dell’Italia sia da cercare nel costo del lavoro e nello spazio dei contratti. In realtà anche in questo caso ricompare la tentazione vecchia degli industriali di avere completa mano libera nelle aziende. Ed è anche alquanto scandaloso il fatto che – dopo la firma dei metalmeccanici – ci siano ancora più di 3 milioni di lavoratori dell’industria in attesa di contratto.