Nelle trincee spagnole nasceva il 25 aprile italiano

Ho fra le mani con una certa emozione il mio vecchio libro “Un garibaldino in Spagna”, ristampato, esattamente dopo mezzo secolo, da Arterigere-Essezeta di Varese per il 70° anniversario della guerra di Spagna (che cade nel prossimo luglio) e, con la memoria, torno ai tanti compagni reduci di quella grande esperienza di lotta, ma anche di umana solidarietà: quei tanti compagni reduci che divennero la spina dorsale della Resistenza italiana. I comandanti e i commissari politici, il “cuore” e il “motore” della lotta contro il nazifascismo.
E’ il 25 aprile e la connessione storico-politica fra lotta di Liberazione e la guerra di Spagna è un atto dovuto. Chi combatté contro Franco e il fascismo di Mussolini e di Hitler ebbe l’opportunità di formarsi una precisa identità, per il successivo impegno nella lotta in Italia: in un continente trasformato in una immensa trincea.

«Io mi permetto di affermare – aveva scritto in modo profetico Emilio Lussu – che noi abbiamo bisogno di andare in Spagna più di quanto la Repubblica spagnola non abbia bisogno di noi». Non molto tempo dopo Carlo Rosselli, organizzatore fra gli altri della “Colonna italiana”, lanciò da radio-Barcellona la storica parola d’ordine “Oggi in Spagna, domani in Italia”. Una consegna, o un auspicio, che non solo esprimevano la speranza di portare nel nostro Paese la lotto contro Mussolini, ma già prefiguravano in senso concreto, e non solo ideale, quella “guerra civile europea” tra democrazia e fascismo che sarebbe esplosa sullo scenario della Seconda guerra mondiale.

Ecco la ragione della mia riflessione alla vigilia di un nuovo 25 aprile, mentre il nostro Paese vive laceranti contraddizioni e divisioni profonde, cupi segni di un domani pieno di incertezze.

L’inizio della guerra civile di Spagna nel 1936, settant’anni fa e la vittoriosa conclusione della Resistenza italiana il 25 aprile 1945 sono uniti da un legame strettissimo, fatto di sacrifici, caduti, vittorie, sconfitte, umiliazioni, riscatti, speranze, delusioni. E il pensiero va a quegli italiani che, chiusa la parentesi spagnola, tradussero in pratica la consegna di Rosselli, trasformando le loro esistenze in baluardi dell’antifascismo sulle montagne e nelle città d’Italia. Troppi sono i nomi e molto alto è il rischio di dimenticarne qualcuno (il che suonerebbe come un torto insopportabile). I comandanti no, questi li ricordo tutti, come ricordo chi in Spagna mi è stato vicino in formazione o in battaglia; quelli sono nomi scolpiti nel mio cuore, tanto alti furono i loro profili, insieme militari e politici. Da Luigi Longo, ispettore generale delle Brigate internazionali e poi vice comandante del Corpo volontari della Libertà; a Ilio Barontini, commissario politico del “Battaglione Garibaldi” e comandante partigiano nella Resistenza, mio mentore nelle prime azioni gappiste di Torino, a Leo Valiani garibaldino e membro del Comitato internazionale di Milano; ad Antonio Roasio, commissario politico del Battaglione Garibaldi e membro; a Francesco Scotti, commissario politico in Spagna e dirigente della Resistenza piemontese; ad Anello Poma nella Brigata Garibaldi e commissario politico nel Biellese. E Alessandro Vaia, comandante della Brigata Garibaldi e poi in Italia, nel Triumvirato delle Marche e della Lombardia; e Domenico Tomai, “eroe” della difesa di Madrid sull’Jarama e poi nella guerriglia in Valtellina; e Riccardo Mordini, che dal fronte spagnolo trasse forza per guidare i giovani garibaldini dell’Oltre Po nella pagina estrema del fascismo repubblicano a Dongo; e Vittorio Bardini nella batteria “Gramsci”, poi nel Gap di Milano e infine deportato a Mauthausen. E ancora: Mario Ricci, garibaldino sui fronti di Huesca, Brunete, Ebro, poi medaglia d’oro della Repubblica partigiana di Montefiorino; Francesco Leone commissario politico della Centuria “Sozzi” poi nel Triumvirato toscano; Aldo Lampredi, commissario delle Brigate Internazionali e membro della “missione” che giustiziò Mussolini; Teresa Noce, Giuseppe Alberganti, Antonio Cetin, Egisto Rubini (fondatore del 3° Gap di Milano suicida in carcere per non parlare); Angelo Spada (massimo esperto in campo di esplosivi); Antonio Ukmar. E tutti gli altri.

Francesco Fausto Nitti nel suo libro autobiografico scriveva: «La guerra di Spagna è una battaglia. Altre battaglie si annunciano in questa Europa senza pace». «Cambiavamo il fronte», aggiunse Luigi Longo che vedeva molto lontano. Ed era vero. Non fummo in Spagna dei vinti, ma giovani e anziani che marciavano come dei combattenti anche nella dolorosa ritirata. Avevamo il rimpianto nel cuore; lasciavamo il popolo spagnolo, ma ci attendevano altre dure prove da combattere con gli stessi sentimenti e gli stessi ardori. Questa volta vittoriose, sino al “radioso 25 aprile”.