Nel nome di dio

E’dal 1948 che la chiesa cattolica apostolica romana non lanciava le sue schiere contro la laicità dello stato come sta succedendo in questi giorni, da quando il cardinal Ruini ha suonato la carica. Cinquant’anni fa portarono in giro fra gli operai delle fabbriche di Sesto San Giovanni delle madonne di media grandezza che erano dette «pellegrine». Appena la Dc vinse le elezioni del 18 aprile le riposero in sagrestia. Alla stessa stregua si ritirava dalla radio, dove aveva tuonato tutti i giorni, padre Lombardi detto «il microfono di Dio». Il Papa taceva dopo aver usato l’arma letale, la scomunica, contro i comunisti e chi li votava. Il cardinal Ruini doveva essere ancora un fanciullo e Ratzinger cantava forse nel coro della messa in Baviera. Da allora non s’era vista un’analoga mobilitazione. La Democrazia cristiana non osava inginocchiarsi in Vaticano un giorno sì e un giorno no, stava più attenta nelle forme alla laicità dello stato, si comportava insomma da partito cattolico tornato al mondo dopo i non expedit. Le cose cambiarono venti anni dopo con i referendum sul divorzio e soprattutto sull’aborto – quest’ultimo chiamato ad abrogare la 194. Poiché si suppone che le donne seguano il marito o il prete, e gran parte di destra e sinistra lo dava per perso, la Chiesa non si mobilitò con la stessa energia, delegando soprattutto al Movimento per la vita di spaventare la gente portando in giro grandi boccali contenenti feti sotto spirito. Non ricordo che il Papa scomunicasse nessuno – forse ai preti era arrivata la direttiva di non assolvere la abortente, ma sono secoli che la disattendono. Le donne votarono compattamente No, salvo in una regione, e la Chiesa parve ritirarsi in buon ordine.

Oggi la Dc non c’è più e la posizione della Udc – fatta eccezione per il ministro Buttiglione – è meno sguaiata di molte di quelle della Casa della Libertà, peraltro minata all’interno da Stefania Prestigiacomo. Ma è la chiesa che è scesa in campo come un enorme partito, ramificato in ogni angolo della penisola, vescovi, parroci, manifesti murali, giornali e giornaletti. Forse qualche bravo parroco disobbedirà in silenzio. Ma per il resto la gerarchia ha funzionato come un orologio. Il nuovo papa Benedetto XVI, già cardinal Ratzinger, ha usato magistralmente della dottrina della quale è stato per ventisei anni occhiuto custode, anzi le ha dato una piccola spinta in più, sulle orme di Giovanni Paolo II: ha denunciato gli orrori della modernità relativista e la tentazione eugenetica insita nella scienza. Quel che non ha fatto lui stesso lo fa il cardinal Ruini. I volteggi intellettual-filosofici degli atei devoti – stirpe che finora si ignorava – gli ha fatto toccare con mano quante inaspettate alleanze fossero disponibili nel campo presunto laico. Il presidente del senato Marcello Pera ha chiamato a gran voce alla religione come surrogato delle ideologie. L’arma fatale che il Vaticano ha impugnato, ritenendo che nel voto normale il No riuscirebbe perdente, è il tentativo di far mancare il quorum. Manovra politica spregiudicata oltre che la sola che permette di controllare il voto: diversamente da chi mette la scheda nell’urna, chi sta a casa è visibile, specialmente nelle piccole città e può essere annotato dalla parrocchia.

Sul ribrezzo che fa a me, donna, vedere con quanta ingordigia un’autorità tutta maschile, tutta celibe, e presumibilmente tutta ignorante di che cosa significhino sessualità, maternità, paternità, metta il naso e i suoi fantasmi nell’intimo del corpo della donna e nelle sofferenze della coppia, non appongo verbo. Ma come cittadina di una repubblica che credevo laica sono rivoltata dalla genuflessione di tutte le sfere dello stato. E dal silenzio di un altro grande che parla tutti i giorni, il Presidente della Repubblica, davanti a un’intrusione senza precedenti della chiesa nello stato.