Nel laboratorio dei Quaderni

Un paradosso caratterizza la storia della fortuna di Gramsci in Italia. Il suo momento più basso è rappresentato, più ancora che dagli anni della dissoluzione dell’Unione sovietica, il paese scaturito dalla rivoluzione bolscevica salutata con entusiasmo dal pensatore comunista, dalla stagione del movimento del ’68, che pure spesso faceva riferimento agli ideali dell’Ottobre. Alla vigilia di quella stagione, in un libro (Scrittori e popolo) stimolante e di grande successo, così si esprimeva Asor Rosa: “L’insegnamento di Gramsci non avvicina bensì allontana gli intellettuali militanti del movimento operaio dal filone puro del pensiero di Marx; […] esso serve fondamentalmente da tramite alla diffusione di una posizione genericamente progressista ed antifascista, priva di un serio contenuto di classe”. Assieme al pensiero di Gramsci, assunto ormai come sinonimo di “populismo”, cadeva così nel dimenticatoio anche l’interpretazione di Togliatti, che insisteva sul marxismo e sul leninismo dell’autore dei Quaderni del carcere. Ai giorni nostri generale è a sinistra il riconoscimento della straordinaria ricchezza del materialismo storico di Gramsci. Sarebbe stato lecito attendersi una riscoperta dell’interprete che per primo ha richiamato l’attenzione su questo punto; e invece…
Questo ostinato silenzio è rotto ora da Guido Liguori, con il volume da lui curato: Palmiro Togliatti, Scritti su Gramsci (Editori Riuniti, pp. 316, L. 35.000). L’introduzione si apre con un’affermazione netta: “Senza il lavoro di editore e interprete svolto da Togliatti […], il ricco laboratorio dei Quaderni e la grandezza morale delle Lettere non sarebbero stati conosciuti al di là di una ristrettissima cerchia di parenti e amici”.
Qui, è sul “laboratorio” di idee che conviene soffermarsi. Un motivo balza subito agli occhi. Merito di Gramsci – sottolinea Togliatti nel 1944 – è di aver teorizzato “la funzione nazionale del proletariato in lotta per la sua emancipazione”, di aver chiarito “la questione della unità vera e della rinascita della nazione italiana”, mentre all’orizzonte cominciava a profilarsi il baratro cui il fascismo avrebbe condotto le masse popolari e il paese nel suo complesso. Ma, allora, non aveva ragione il movimento del ’68 a guardare con diffidenza o ostilità a Gramsci, come ad un autore ben poco classista e ben poco internazionalista?
In quegli anni, all’autore dei Quaderni del carcere veniva contrapposto, tra gli altri, Mao Tsetung. Sennonché, questi è il protagonista di una rivoluzione che giunge alla vittoria proclamando: “La nostra nazione non sarà più disprezzata da nessuno; ci siamo già alzati in piedi”. Alcuni anni più tardi, nell’appoggiare le rivendicazioni degli afro-americani, il dirigente cinese chiarisce che “la lotta nazionale è, in ultima analisi, una questione di lotta di classe”. Possiamo aggiungere che, in determinate circostanze, la lotta nazionale è la forma più acuta di lotta di classe. Si pensi alla Lunga Marcia dei comunisti cinesi che attraversano migliaia di chilometri per andare a mettersi alla testa della guerra di difesa nazionale contro l’imperialismo giapponese; oppure alla grande guerra patriottica con cui l’Unione Sovietica respinge l’invasione del Terzo Reich, deciso a trasformare l’Europa orientale in un impero continentale.
Più complessa è la vicenda che si verifica in Italia. Entrato in guerra agitando parole d’ordine esplicitamente imperialiste (il ritorno dell’Impero “sui colli fatali di Roma”), al momento della sua caduta Mussolini lascia il paese controllato in larga parte da un esercito di occupazione, impegnato a sfruttare l’Italia settentrionale ai fini dell’economia di guerra del Grande Reich, al quale annette regioni come l’Alto Adige e la Venezia Giulia. Il nostro è l’unico paese che, dopo aver partecipato ad opera del regime fascista allo scatenamento di una guerra imperialista, si trova nella necessità, per recuperare la propria indipendenza, di condurre una guerra di liberazione nazionale. Nell’aver previsto con largo anticipo questa tragedia risiede, secondo Togliatti, il grande merito di Gramsci, il quale avrebbe posto così le basi per l’impetuoso sviluppo del Pci a partire dalla politica di larga unità seguita nella Resistenza.
Ma è una strategia di carattere più generale che Togliatti ritiene di poter desumere da Gramsci: da una parte l’affermazione dell’universale valore emancipatorio della rivoluzione d’Ottobre, dall’altra il riconoscimento che essa non contiene indicazioni di carattere immediato per la trasformazione in senso socialista di un paese come l’Italia. Troppo grande è la differenza tra Oriente e Occidente, tra la Russia (priva di una tradizione liberale e democratica alle spalle) e l’Italia: di nuovo ci imbattiamo nella questione nazionale. Si tratta allora, da un lato di sostenere la scelta in senso socialista operata da paesi collocati alla periferia del mondo capitalistico (stimolando la loro trasformazione democratica), nonché di appoggiare i movimenti di liberazione nazionali che dall’Ottobre hanno tratto stimolo e impulso; dall’altro di imprimere ai paesi capitalistici più avanzati una trasformazione sì in senso socialista ma capace anche di assimilare l’eredità più alta dell’Occidente.
Come sottolinea Liguori, siamo in presenza di una lettura con la quale bisogna fare i conti. Per comprendere la vitalità del Gramsci di Togliatti conviene prendere le mosse dalla rivoluzione d’Ottobre, che costituisce l’atto di nascita politica dei due dirigenti comunisti. Essa per un verso scoppia sull’onda della lotta contro la guerra provocata dalla rivalità tra le grandi potenze capitalistiche e coloniali e contro gli sciovinismi e gli angusti nazionalismi che l’avevano attizzata; per un altro verso chiama alla lotta i popoli coloniali perché si costituiscano come Stati nazionali indipendenti. Se il primo aspetto è dichiaratamente internazionalista e universalista, il secondo mette in discussione l’ideologia “internazionalista” e “universalista” che presiedeva all’espansione coloniale dell’Occidente. C’è contraddizione tra i due aspetti? In realtà, il secondo aspetto ha un contenuto non meno internazionalista e universalista del primo. Non è autentico l’universalismo o l’internazionalismo che non sappia rispettare le peculiarità nazionali, e che si rifiuti di riconoscere il principio dell’uguaglianza tra le nazioni. E’ qui la forza, filosofica e politica, della visione di Gramsci e Togliatti – Liguori ha ragione ad affermare la sostanziale continuità tra queste due personalità.
E tale forza emerge con particolare nettezza in una situazione storica che, come dimostrano le guerre contro l’Iraq e la Jugoslavia e la crescente pressione politica e militare contro Cuba e la Cina, è caratterizzata dalla rinnovata vitalità dell'”universalismo” imperiale proprio della tradizione coloniale. Se la sinistra si rivela scarsamente attrezzata per contrastare questa ideologia, è anche in conseguenza dei limiti teorici del movimento del ’68: l’universalismo astratto, che motivava a suo tempo la liquidazione di Gramsci (colpevole di attardarsi sulla questione nazionale), spinge oggi a legittimare le guerre condotte in nome dell'”universalismo dei diritti dell’uomo”, questa nuova versione del “napoleonismo” condannato dai Quaderni del carcere.
Ben si comprende allora la riscoperta di Gramsci, almeno ad opera della sinistra che si rifiuta di salire sul carro dei vincitori. Forse è ora di riscoprire anche Togliatti, cui se non altro spetta il merito di aver richiamato l’attenzione su questa straordinaria figura di militante e pensatore comunista, a fronte dell’ostracismo che subiva sia da parte di larghe frange del movimento del ’68, sia dei settori più dogmatici del “socialismo reale”. Ragioni politiche ed etiche imporrebbero alla sinistra di riconoscere il suo debito di gratitudine nei confronti di Palmiro Togliatti. Ma, intanto, possiamo e dobbiamo essere grati a Guido Liguori per averci ripresentato, in una raccolta allargata rispetto alle precedenti (ormai da tempo esaurite e introvabili), gli Scritti su Gramsci. E’ un libro importante, che merita di essere discusso sul piano filosofico e politico.