Scrivere dei rapporti tra Silvio Berlusconi e i poteri economici quando la battaglia infuria è assai difficile. Ma se un giorno si volesse rileggere la storia di questi ultimi sette anni, dal primo governo Berlusconi ad oggi, si scoprirebbero almeno due paradossi a proposito del cavaliere di Arcore: il primo è che “la vittima dei comunisti”, “il perseguitato”, il povero protagonista di quella penosa “storia italiana” che ci sta arrivando nelle case sotto forma di insidioso fotoromanzo di propaganda, in realtà ha salvato il suo impero economico-finanziario proprio durante i governi di centro sinistra. Il secondo paradosso è che il mostruoso conflitto d’interesse, quello che il conservatore Lord Brittan ha definito “un caso che in Europa non ha precedenti paragonabili”, invece di diminuire è aumentato in modo consistente dal 1994 ad oggi. E soprattutto è cambiata la qualità del conflitto d’interessi: mentre Silvio il politico giocava con la Bicamerale per accreditarsi un ruolo da statista che gli ha regalato la sinistra di governo o per cecità o per calcolo errato, il Silvio imprenditore e finanziere stringeva alleanze con i poteri forti, metteva radici in tutti i gangli del sistema economico in modo da rendere sempre più difficile l’eliminazione dello stesso conflitto d’interesse.
Nelle ultime settimane i grilli parlanti del cavaliere hanno messo in giro la voce che a giorni Lui potrebbe annunciare la parziale cessione di Mediaset all’amico imprenditore Rupert Murdoch. Staremo a vedere e a sentire che cosa accade. Non sappiamo quanto ci sia di vero in queste voci ma ci corre l’obbligo di mettere in guardia progressisti e conservatori di tutto il mondo dai trucchi che Silvio Berlusconi e i suoi consiglieri potrebbero mettere in atto. L’uomo è abilissimo nella propaganda e tra l’altro con l’ingegneria finanziaria di cui a Mediobanca sono esperti si possono mettere a punto trucchi societari molto sofisticati, (uno di questi ad esempio si chiama portage), per far finta di cedere il pacchetto di controllo a un gruppo amico.
In attesa di questa cessione annunciata e nella speranza che alla fine anche i dubbiosi capiscano a quale pericolo stiamo andando incontro, immaginiamo, come fosse un gioco in realtà un po’ indigesto, che cosa accadrebbe se il leader di Forza Italia mettesse piede a Palazzo Chigi. Per valutare la portata di questo evento basta fare una radiografia in superficie del suo attuale potere economico.
La Fininvest, holding della famiglia Berlusconi, controlla in primo luogo il 48,3 per cento di Mediaset, società quotata in Borsa dal 1996, che a sua volta controlla 11 società tra cui la concessionaria di pubblicità fondata da Marcello Dell’Utri, Publitalia 80, (100%), Albacom, la società che ha partecipato alla gara per le licenze Umts, (19,5%), ed altre società dell’area televisiva e tlc. Di recente poi il fedelissimo Fedele Confalonieri, ha annunciato che Mediaset è entrata con una quota dello 0,5 per cento in Telecom e che il gruppo Berlusconi è interessato a un’integrazione con il gruppo guidato da Roberto Colaninno. “E’ questione di tempo”, ha detto Confalonieri. “La connessione tra telecomunicazioni e televisione è inevitabile”.
Lasciando stare per un attimo lo strapotere che si verrebbe a creare dalla somma della tv privata e pubblica, basterebbe il progetto di alleanza tra il primo gruppo di telecomunicazioni e il primo gruppo televisivo privato a creare allarme e a dimostrare l’assoluta incompatibilità tra il potere economico di Berlusconi e il governo di un paese che si dichiara democratico. Come se la caverà il nostro cavaliere quando dovrà affrontare le centinaia di provvedimenti governativi riguardanti le telecomunicazioni? Darà una mano al suo nuovo alleato industriale Roberto Colaninno o lo costringerà a levarsi di torno con i suoi ambiziosi progetti di Telemontecarlo per evitare che faccia concorrenza a Mediaset? E se per caso un altro soggetto dovesse affacciarsi al mercato e chiedere concessioni televisive che cosa farebbe il presidente del consiglio? E se ancora si dovessero prendere provvedimenti restrittivi o agevolativi per le società quotate in Borsa da che parte farebbe pendere la bilancia il nostro eroe di Arcore?
Vogliamo cambiare settore? Prendiamo il sistema bancario e finanziario. Qui il gruppo Berlusconi si è molto rafforzato: la famiglia Berlusconi controlla il 35,16% di Mediolanum spa che a sua volta controlla il 100% della Banca Mediolanum, della compagnia assicurativa, dei fondi d’investimento, delle gestioni patrimoniali e così via. Di recente inoltre il gruppo Mediolanum ha stretto un’alleanza con Mediobanca e il suo amministratore delegato, Ennio Doris, è entrato nell’esecutivo della Banca d’affari di piazzetta Cuccia che come è noto possiede innumerevoli pacchetti di controllo dei principali gruppi italiani.
Anche i più distratti si saranno accorti che in questo momento il sistema bancario è in grande subbuglio, è attraversato da battaglia azionarie che vedono al centro proprio Mediobanca, il gruppo assicurativo Generali, la Banca di Roma, il San Poalo e altri colossi. Da che parte si schiererebbe il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, se ad esempio Mediobanca venisse scalata, avendo lui cospicui interessi da difendere in quella banca? E se, come è avvenuto in passato, il gruppo Mediaset andasse male e si dovesse rivolgere a Mediobanca, ci manderebbe in esplorazione il presidente del consiglio a chiedere prestiti? E se Mediolanum viceversa decidesse di scalare una società ci troveremmo di fronte per la prima volta nella storia del capitalismo a un presidente del consiglio complice di un take over?
Non è finita. Come tutti avranno potuto leggere sugli invadenti manifesti elettorali del Polo, tra le tre “i” del leader di Forza Italia c’è anche Internet. Non è necessario essere degli economisti per capire che Silvio Berlusconi ha interessi diffusi anche nella net economy con la Newmedia Investment S.A, Jumpy e Networking, così come ha interessi interessi ingenti nell’editoria con Mondadori spa, (48,17%), che a sua volta controlla Elemond, Einaudi, Sperling&Kupfer, nello sport con il controllo totale del Milan, nel cinema con la Medusa Film, decine di sale cinematografiche, blockbuster, il teatro Manzoni, e nel settore immobiliare con Edilnord 2000, controllata al 63,57% da Fininvest.
Si potrebbe continuare all’infinito. E finora abbiamo accennato soltanto al conflitto d’interesse di carattere finanziario, tralasciando volutamente il pacchetto giustizia. Ci risulta, ad esempio, che Silvio Berlusconi abbia intenzioni bellicose nei confronti della magistratura e che nei suoi piani non dichiarati ci sia una modifica del codice penale, guarda caso nel punto relativo all’obbligatorietà dell’azione penale, per tagliare le unghie alle toghe rosse. Un penalista milanese, consultato dal cavaliere, ha consigliato cautela, sapendo che per modificare il codice bisogna modificare la costituzione, ma se sull’onda di una vittoria elettorale consistente, Silvio Berlusconi si apprestasse a una simile modifica, essendo ancora imputato in numerosi processi, ci troveremmo di fronte a un caso da Corte di Giustizia.
Come abbiamo tentato di argomentare all’inizio, malgrado la propaganda scaltra e lontanissima dalla buona fede di Silvio Berlusconi che ha sempre tuonato contro il fantasma di un comunismo inesistente, l’impero di Arcore si è salvato proprio negli anni dei governi di centro sinistra. E negli stessi anni ha accresciuto i suoi confini.
Correva l’autunno 1993 quando il sistema bancario italiano decise di imporre alla guida del gruppo Fininvest, in veste di garante delle banche creditrici, il manager Franco Tatò, attuale amministratore delegato dell’Enel. Allora il gruppo Berlusconi era a pezzi: il fatturato si avvicinava ai 12 mila miliardi ma l’indebitamento superava i 4000 miliardi e soprattutto di lì a poco si sarebbe scoperto il volto illegale di Berlusconi, quello delle tangenti alla guardia di finanza, delle società off shore, dei falsi in bilancio e dei fondi neri. Il cavalier Berlusconi non era per nulla amato dall’establishment finanziario e industriale italiano, le origini del suo impero rimanevano oscure, erano in pochi a fidarsi del parvenou di Arcore e per evitare il peggio le principali banche si presero in pegno i pacchetti di controllo della Standa e della Silvio Berlusconi Editore. Ma all’astuto cavaliere tutto questo non bastava: Berlusconi capì che l’unico modo per fare leva sul sistema finanziario e ottenere un salvataggio vero era di “scendere in campo”. Il primo vero conflitto d’interessi esplode nel 1994, che non è soltanto l’anno in cui Silvio Berlusconi vince le elezioni ed entra a Palazzo Chigi ma è l’anno in cui vengono collocate in Borsa Mondadori e Mediolanum con l’apporto decisivo di Enrico Cuccia e di Mediobanca.
Da questo momento in poi la strada del risanamento è costellata dal conflitto d’interesse, su cui quasi tutti sono distratti, compresa la sinistra. L’attenzione è concentrata sui guai giudiziari di Silvio Berlusconi, molti esponenti della sinistra si illudono di assistere al decadimento dell’impero di Arcore per via giudiziaria e nessuno si accorge che intanto il cavaliere tesse le sue alleanze nella comunità degli affari. Così nel 1996, anno di nascita del governo Prodi, la Borsa Italiana, nonostante le tante perplessità all’estero, dà il via libera alla quotazione in Borsa di Mediaset. Nonostante in tribunale ci siano già tutte le carte per denunciare le ombre della controllante Fininvest, nessuno ha il coraggio di denunciare quello che sta accadendo. E così il gruppo Mediaset, con il placet di Mediobanca, degli organismi di controllo e del governo entra a far parte del sistema finanziario italiano. Silvio Berlusconi viene legittimato due volte: da Massimo D’Alema e Romano Prodi e da Enrico Cuccia. A quel punto la strada è spianata: visto che nessuno gli mette i bastoni tra le ruoteil cavaliere da un lato tuona contro i comunisti e dall’altra utilizza tutte le leve del sistema per fare affari: entra nella galassia Mediobanca, fa il suo ingresso nella net economy, lancia tramite i suoi colonnelli alleanze con Telecom e dove può piazza suoi uomini nei centri di potere economico e politico.
La battaglia più riuscita è quella che porta alla nomina di Antonio d’Amato alla presidenza della Confindustria, quella meno riuscita riguarda il tentativo di controllare la potente fondazione Cariplo. Le cronache mass mediologiche milanesi raccontano che l’ultimo tentativo di farsi spazio tra i poteri forti sarebbe stato quello di far fuori dalla direzione del Sole 24 il direttore Ernesto Auci e l’amministratore delegato del gruppo, Maurizio Galluzzo. Per il momento il blitz non è riuscito ma c’è da giurarci che se vincesse le elezioni il protagonista principale di questa triste storia italiana ci ritenterebbe.