Nei cantieri la morte non va in vacanza

Siamo a fine luglio, fa caldo, i più fortunati sono già in vacanza, ma nei cantieri e nelle fabbriche italiane si continua a morire. Con i cinque incidenti mortali di ieri il bilancio non ufficiale delle vittime dall’inizio dell’anno è arrivato a quota 597, l’equivalente di tre omicidi bianchi al giorno. Lutti e lacrime che rimbombano metaforicamente nell’Aula di Montecitorio, dove è iniziata la corsa contro il tempo per l’approvazione definitiva, prima della pausa estiva, del Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
«Gli infortuni non sono fulmini dal cielo, non capitano mai per disgrazia», spiega Raffaele Ioime, funzionario Fiom competente per la zona Valdensa, un insieme di comuni situati a una decina di chilometri da Reggio Emilia. In uno di questi comuni, Cavriago, ha sede la Dabegal, azienda che produce prefabbricati in acciaio, con circa 40 addetti. E’ qui che ieri mattina si è spezzata la vita di Kweku Abakah Peebody, un operaio di 49 anni originario del Ghana.
Durante le operazioni di spostamento – mediante un muletto – di alcune pesanti travi d’acciaio, una di esse è scivolata via dal carico colpendo il migrante alla testa e uccidendolo sul colpo. E’ stato uno dei colleghi a dare l’allarme, dopo aver assistito all’incidente. La vittima abitava con la moglie, in questi giorni ricoverata in ospedale dopo una caduta in casa. Kweku lascia anche due figli, che vivono in Ghana. «Era un lavoratore assiduo – riferisce Ioime – scrupoloso, ben voluto da tutti. Dopo la tragedia mi sono recato in fabbrica e ho visto i suoi colleghi con le faccie stravolte e le lacrime agli occhi, qualcuno era anche molto arrabbiato». Iscritto dal 1999 alla Fiom, da sei anni Kweku lavorava con la ditta di Cavriago. Aveva, quindi, una certa esperienza. «Purtroppo, però, si muore una volta sola», commenta amaro il sindacalista.
Immediata la reazione delle segreterie provinciali di Fim Fiom Uilm, che hanno diffuso un comunicato unitario per denunciare «l’intollerabile degrado delle condizioni di sicurezza del lavoro, a partire dalle realtà produttive medie e piccole che caratterizzano il nostro tessuto produttivo». I sindacati annunciano anche «una mobilitazione straordinaria» alla ripresa dell’attività. Spetta ora alla magistratura accertare la dinamica dell’incidente ed eventuali responsabilità. «Se c’è un muletto che sta alzando una trave di ferro molto pesante – spiega Ioime – è necessario che questa operazione venga eseguita con la necessaria prudenza, rispettando le norme di sicurezza. Ad esempio, va sgomberata l’area dove avviene la movimentazione».
Qualcosa deve essere andato storto anche nella ditta di Caprie, in provincia di Torino, dove ieri un operaio di 51 anni è rimasto intrappolato in una pressa che non gli ha lasciato scampo. Secondo le prime informazioni, l’uomo era impegnato in alcune operazioni di manutenzione del macchinario quando è avvenuto l’incidente. Tragedia sul lavoro anche in un cantiere per la costruzione di una strada nel comune di Baiano (Avellino): un operaio di 32 anni, Giovanni Di Lorenzo, è rimasto schiacciato da un escavatore che si è ribaltato, probabilmente a causa della pendenza dello scavo. Una caduta sarebbe invece la causa della morte di un lavoratore italiano cinquantenne, di cui non sono note le generalità, in un cantiere di Liscate (Milano). La quinta vittima è Claudio Lupis, 44 anni, residente a Pesaro. L’uomo, autista di un mezzo per la lavorazione del calcestruzzo, si trovava all’esterno di una casa in ristrutturazione a Candelara (Pesaro Urbino) quando il mezzo si è accidentalmente sfrenato e gli è piombato addosso, schiacciandolo. L’uomo è morto sul colpo.
Insomma, la strage continua, malgrado i ripetuti appelli del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e del presidente della Camera Fausto Bertinotti. La speranza è che la rapida approvazione del Testo Unico sulla sicurezza riesca ad avere un impatto immediato sul fenomeno, anche se è evidente che le leggi da sole non bastano. Come ha ricordato ieri il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, «si tratta non solo di fare della repressione, ma anche prevenzione e di chiedere la massima collaborazione delle imprese e dei lavoratori».
Collaborazione che non si riesce a ottenere dall’Ilva di Taranto, come dimostra l’ultimo allarme delle Rsu sui rischi per la salute degli autisti. I quali lavorano «su mezzi privi di climatizzazione dell’aria in cabina» ma «sono costretti a viaggiare con i finestrini chiusi» per evitare «di avere l’abitacolo del mezzo costantemente invaso da fumi e polveri di ogni tipo, con la conseguenza di ritrovarsi in cabina guida a convivere con temperature altissime, a rischio di collasso». Per tutta risposta, i dirigenti dello stabilimento siderurgico hanno avuto la faccia tosta di proporre al tavolo ufficiale una soluzione “a costo zero”: «Un fazzoletto bagnato in testa agli operatori».