Nei campi di Cassibile, dove i migranti raccolgono patate

Ritornano nelle tende camminando lentamente, trasportando con stanchezza la loro tanica d’acqua: venti litri al giorno per bere, mangiare, cucinare. La spingono su piccole carrucole per due chilometri, dal piccolo borgo di Cassibile, a Siracusa, fino al loro campo, nelle tende sistemate all’ombra, tra ulivi e carrubbi. Vivono qui in trecento, sulle colline che declinano verso la splendida spiaggia di Fontane Bianche.
La sveglia è alle prime luci dell’alba. Si va in piazza, ad attendere la chiamata del caporale per la raccolta delle patate. Anche i nuovi gabelloti del latifondo siciliano sono immigrati. Scelgono prima i loro compatrioti marocchini, poi, se rimane posto, vengono sudanesi, senegalesi, nigeriani.

Questo lavoro, un tempo, lo facevano i braccianti siciliani. Oggi la raccolta la fanno i migranti. Centinaia di uomini che attraversano tutto il sud, per un lavoro a giornata pagato una miseria. Si vive tra i campi per un mese o due, il tempo della raccolta, in alloggi di fortuna, senza acqua, luce, né bagni. Poi ricomincia la transumanza migrante: Puglia, Calabria, Campania.

I “cabbi”, così i braccianti chiamano i loro caporali. «Ci pagano molto meno di quanto ricevono dal proprietario, si intascano almeno il 20 per cento della paga. A noi rimangono 35, al massimo 40 euro, per 10 ore di lavoro. Sempre in nero», dice Adam, 19 anni, nato in Ciad, che nel campo di Cassibile fa il mediatore culturale. Si aggira con dimestichezza tra le tende e le capanne, tra i piccoli bagni all’aperto, fatti con una buca nel terreno, 4 assi di legno e della plastica per nascondersi. Più giù, nella parte del campo occupata dai maghrebini, c’è anche un piccolo bar, dove si gioca a carte, si prepara il pane per la cena, si mette a bollire l’acqua per il te.

In cima alla collina c’è il tendone di Medici senza frontiere, dove incontriamo Guillame, attivista dell’associazione che dal 2003 è impegnata in un prezioso sostegno ai lavoratori stagionali migranti: ogni settimana i medici dell’associazione si recano nel campo con un pronto soccorso mobile. «La tensione in paese è alta: ieri alcuni ragazzi sono stati aggrediti con il lancio di pietre».

«E’ il frutto di una campagna mediatica ben orchestrata da polizia e giornali locali: d’altronde la stagione della raccolta sta per concludersi: ora è il caso che tutti vadano via», aggiunge padre Carlo D’Antoni, che appena può lascia la sua parrocchia di Siracusa per passare la notte nella tenda di Msf. Padre Carlo venerdì ha seguito la manifestazione indetta nel paese contro l’“emergenza immigrati”. «Come fa un paese così piccolo a sopportare una situazione del genere?», si chiede il religioso. «Qui manca l’intervento dello Stato, e la polizia la si vede solo quando i lavoratori non servono più». Il 2 giugno, ad esempio, le forze dell’ordine di Cassibile hanno chiesto l’aiuto della squadra anticrimine di Catania per un posto di blocco. Risultato: 74 persone fermate, una patente sequestrata.

Nell’abitato di Cassibile via Nazionale è piena di persone che si godono la bella giornata di sole. “Non siamo razzisti, ma… ” è il ritornello che tutti ripetono, lamentandosi della sporcizia e dei problemi di sicurezza. Ma tra gli abitanti di Cassibile c’è anche qualcuno che riesce a guardare l’altra faccia della medaglia, vecchi emigranti che hanno vissuto per anni in Germania, Belgio, Francia. «Il problema è che le istituzioni non intervengono. Io lo capisco bene cosa vuol dire vivere lontano da casa, e non avere un bagno e un tetto», dice un signore distinto, seduto in un bar del paese.

Lo “Stato”, a Cassibile, si trova poco fuori dal paese, oltre la ferrovia. A lato di un capannone per il confezionamento di prodotti agricoli, c’è un’alta inferriata verde, controllata dalla polizia. «Siamo molto preoccupati, perché quel centro non è esattamente un Cid, ma un ibrido, per molti aspetti simile a un Cpt», afferma Laura Boldrini, dell’Acnur. «Manca il sostegno legale, non ci sono servizi sufficienti, né locali per le donne e per i nuclei familiari, e specialmente non viene garantita la libertà di movimento», spiega ancora Boldrini.

Il centro-Ibridodi Cassibile è gestito dall’Alma Mater, presieduta dal parroco del paese Arcangelo Rigazzi. La stessa associazione è assegnataria dei servizi del Progetto Nazionale Asilo, e gestisce, sempre a Cassibile, una vecchia casa di campagna (di proprietà, a quanto pare, di Biagio Saitta, consigliere provinciale dell’Udeur) adibita a ricovero per i migranti. Ma solo per quelli regolari.

In questo centro, preso in affitto dalla Prefettura, può anche accadere che i lavoratori vengano chiusi dentro per controlli dei permessi di soggiorno, effettuati dalla stessa associazione cattolica, in perfetta sostituzione della polizia. Sull’Alma Mater in paese gira ogni tipo di voce: si dice che la Prefettura sborsi circa 50 euro al giorno per ogni migrante ospitato, che l’associazione stia guadagnando dall’emergenza un mucchio di quattrini, col sostegno del vicesindaco di An Enzo Vinciullo. Ma le male lingue parlano anche di un affitto esorbitante, 30 mila euro al mese. L’unica certezza è che, a Cassibile, i migranti fanno comodo a molti.