Nel breve tratto di mare che separa Portopalo di Capo Passero dall’Isola delle correnti da alcuni giorni c’è un insolito dispiegamento di mezzi navali e di personale della capitaneria di porto e della protezione civile. E’ segno che qualcosa di importante sta per avvenire. E in effetti sta per accadere un evento storico, confermato soltanto ieri dalla stessa protezione civile dopo vari tentativi di «depistaggio». L’evento in questione è che iniziano le operazioni di recupero del relitto del peschereccio maltese affondato la notte di Natale del ’96 a 19 miglia dalla località siracusana e nel quale morirono, ammassati e chiusi dentro le stive, 283 immigrati, tra pachistani, indiani e cingalesi tamil, trasbordati sul barcone dalla Ihoan, la nave con la quale erano partiti “sognando l’Europa” e dalla quale furono invece abbandonati nel mare in tempesta in quella notte d’inferno.
Il peschereccio sul quale furono costretti a scendere – lo ricordiamo – fu infatti poi speronato dalla stessa Ihoan, battente bandiera dell’Honduras, che anziché soccorrerli mentre affogavano e chiedevano aiuto tra le onde si dileguò in fretta e furia verso la Grecia con altri 150 immigrati a bordo, diventati poi testimoni della strage.
Si tratta della più grave tragedia in mare avvenuta dal dopoguerra ad oggi nel Mediterraneo – una strage di innocenti archiviata per anni dalle nostre istituzioni sotto il nome di «naufragio fantasma» – che da qui a qualche settimana potrebbe tornare finalmente a galla. «Domani (oggi, ndr) faremo un primo sopralluogo nel luogo del naufragio per verificare le condizioni dell’imbarcazione per poi avviare il vero e proprio recupero del relitto e delle salme» – spiegano dalla direzione romana della Protezione civile, confermando le indiscrezioni che nelle ultime ore hanno messo in allerta le associazioni siciliane che per dieci anni hanno chiesto invano il recupero delle vittime dagli abissi e la loro sepoltura in un sacrario da realizzare a Portopalo.
Il via libera alle loro richieste è arrivato soltanto il mese scorso, quando Romano Prodi, sollecitato in tal senso anche da un appello di vari premi Nobel e più recentemente da una lettera firmata da sessantina di parlamentari (della maggioranza ma anche dell’opposizione), aveva disposto la «verifica della fattibilità economica dell’operazione». Una verifica a cui ha fatto seguito, una decina di giorni fa, l’annuncio ufficiale della disponibilità da parte del ministero del Tesoro a trovare i soldi per ripescare il relitto.
«Si è deciso di fare ora il sopralluogo perché nei giorni scorsi si è aperta una finestra metereologica ideale – dicono ancora dalla direzione della protezione civile, alla quale il governo ha dato il mandato del recupero -. L’operazione si deve svolgere in mare aperto e per farla è indispensabile, trattandosi di un mare esposto a forti correnti, che vi siano condizioni climatiche adeguate. E’ anche per questo motivo che nei giorni scorsi non potevamo confermare il sopralluogo. E’ stata una decisione presa quasi all’ultimo momento. Voleva essere fatta anche con discrezione, intenzione che evidentemente non è riuscita perché l’insolita presenza dei mezzi navali predisposti nel molo di Portopalo in vista del sopralluogo ha richiamato l’attenzione della comunità locale».
A guidare la spedizione di oggi sarà Salvatore Lupo, il pescatore di Portopalo che quattro anni fa trovò impigliata nella rete del suo peschereccio una carta d’identità plastificata appartenente a uno dei 283 immigrati dimenticati nei fondali delle acque internazionali tra la Sicilia e Malta. Fu soltanto dopo questa ennesima testimonianza che le istituzioni e in grandi media hanno cominciato cancellare la rimozione del «naufragio fantasma». Era il mese di giugno del 2001 – quando il giornalista Repubblica, Giovanni Maria Bellu, contattato dal pescatore siciliano, con al seguito un’equipe di sub muniti di un robot marino, riportò alla luce con le immagini quanto più volte denunciato negli anni precedenti – e in solitudine – dal manifesto con inchieste e interviste ai superstiti.
Per il sopralluogo la protezione civile utilizzerà anch’essa un robot subacqueo, il «Row», che oltre a fotografare il relitto avrà il compito di prelevarne campioni che verranno poi analizzati per capire se e con quali strutture trasferire in terra ferma il cimitero degli immigrati. Si trova a 108 metri di profondità e, come si diceva, a quasi 20 miglia dall’Isola delle correnti. Secondo lo stesso pescatore, che conosce quel mare come le sue tasche, «l’operazione di recupero è difficile ma non impossibile: c’è il rischio – dice Lupo – che le parti in legno del relitto possano definitivamente sbriciolarsi nel momento in cui viene rimosso dai fondali. Più facile dovrebbe invece essere, stando alle immagini che abbiamo visto quattro anni fa, recuperare le ossa degli immigrati ancora imprigionate dentro le stive del peschereccio».
La parlamentare dei Verdi Tana De Zulueta, che insieme al diessino Nuccio Jovene in questi mesi si è battuta affinché Romano Prodi accogliesse la richiesta dei familiari delle vittime, nei giorni scorsi era stata avvertita dell’imminente sopralluogo, ma fino a ieri mattina ignorava che si sarebbe svolto oggi. «E’ una notizia che mi sta dando lei adesso – dice al telefono -. Insieme al collega Jovene avevamo un incontro con il direttore della protezione civile Bertolaso martedì scorso, ma l’appuntamento era stato poi rinviato dallo stesso Bertolaso a causa della crisi di governo. Non so cosa sia successo nel frattempo, ma non fa niente. La cosa più importante è che dalle parole oggi si passa ai fatti. C’è solo da sperare che questo recupero sia davvero possibile, e che si possa dare almeno una piccola risposta alle centinaia di persone, tante sono quelle coinvolte in questa immane tragedia, che da dieci anni non hanno neppure un luogo in cui pregare i propri cari».
Se i risultati del sopralluogo diranno che il recupero è possibile, questo potrebbe avvenire a ridosso dell’estate. Potrebbe casualmente coincidere con la fine del processo che a Siracusa vede imputato in contumacia l’armatore maltese del peschereccio affondato, Sheik Thourab, ritenuto l’organizzatore del tragico viaggio. La settimana scorsa il pm ha chiesto per lui l’ergastolo, modificando il capo d’accusa da omicidio colposo plurimo a omicidio plurimo aggravato. La sentenza è prevista per il 2 maggio. L’altro processo, che vede invece imputato il capitano della Ihoan, il libanese El Hallaln (anche lui in contumacia), è in corso a Catania. Ma è ancora alle prime battute.