Nassiriya, italiani nel mirino

Attentato fallito a Nassiriya contro un convoglio di militari italiani mentre si vanno moltiplicando in tutto il sud – una volta l’area relativamente più tranquilla in quanto controllata dalle milizie sciite filo-Usa e filo-Iran – gli attacchi contro il contingente britannico che ieri ha avuto altre quattro perdite nella città meridionale di Amara. Il tutto sullo sfondo di decine di autobombe, attacchi alle forze di occupazione, rappresaglie settarie che avrebbero fatto ieri almeno altri cento morti, la gran parte per le strade della capitale, facendo salire il tragico bilancio di una settimana di scontri a 1300 morti. L’attentato contro i soldati italiani a Nassiriya ha avuto luogo ieri mattina alle nove e quarantacinque, ora locale. Un convoglio di automezzi dei carabinieri della Msu, l’Unità specializzata Multinazionale – il reparto che Piero Fassino vorrebbe lasciare in Iraq anche dopo il ritiro del contingente – aveva appena passato il ponte «Charlie» sull’Eufrate nel sud della città quando una potente mina è esplosa a circa 100 metri senza provocare alcun danno. Sui possibili autori c’è la massima incertezza: elementi della resistenza nazionalista irachena magari venuti da fuori città per colpire gli italiani, membri sciiti delle milizie facenti capo al leader sciita radicale Moqtada al Sadr o membri delle milizie al Badr del partito filo-iraniano del Consiglio Supremo per la rivoluzione islamica in Iraq (Sciri) impegnati in un sotterraneo braccio di ferro con i loro rivali «nazionalisti» del giovane al Sadr. Di sicuro se, come ha vagamente accennato lui stesso, il leader sciita radicale Moqtada al Sadr dovesse tentare di nuovo una sollevazione contro le forze occupanti la situazione delle truppe inglesi e italiane nel sud dell’Iraq si farebbe ancora più critica di quanto già non sia.

Del resto l’intera situazione irachena continua a peggiorare ogni giorno di più, e le truppe occupanti – lungi dall’assicurare un processo di democratizzazione e di stabilizzazione – sono in realtà garanti di un progetto di disgregazione «etnico confessionale» del paese sulla base delle ricette «neocon» e dei desideri del governo israeliano desideroso di togliere di mezzo e sminuzzare uno dei più importanti stati arabi della regione.

Il problema è che la disgregazione dell’Iraq, ottenuta impedendo che il paese abbia un forte potere centrale, istituzionalizzando le differenze etniche e confessionali sul modello libanese, imponendo una divisione in tre areee omogenee (una kurda a nord,una sciita al sud e una sunnita al centro), sciogliendo l’esercito iracheno multiconfessionale e multi-etnico, essenziale per tenere unito il paese, rischia ora di rivoltarsi contro gli apprendisti stregoni americani che l’ hanno evocata. Il misterioso attentato alla moschea sciita di Askariya a Samarra, così come quelli, mai rivendicati, ai luoghi di culto o ai mercati e le rappresaglie delle milizie pro-occupazione avrebbero portato, secondo il Washington Post, all’uccisione in una settimana di oltre 1300 persone. Molti, anche nella «zona verde» di Baghdad ne addossano la responsabilità allebrigate al Badr – addestrate e inquadrate dalle guardie della rivoluzione iraniane e alle forze anti-terrorismo – addestrate a loro volta dagli Usa – facenti capo al ministro degli interni, il leader delle forze filo-iraniane, Bayan Jabr. I sostenitori di questa tesi indicano nella richiesta sunnita, questa volta appoggiata dall’ambasciatore Usa Khalilzad (neocon pentito, per il momento), di togliere nel prossimo governo il ministero degli interni dalle mani degli estremisti sciiti filo-iraniani, la scintilla che avrebbe portato ai pogrom seguiti all’attentato della moschea sciita di Samarra.

La capitale è ormai controllata a macchia di leopardo dalle varie milizie filo-Usa: a ovest e nei sobborghi occidentali e meridionali i reparti militari sunniti alle dipendenze del ministero della difesa mentre la parte est sarebbe nelle mani delle forze sciite del ministro degli interni soprannominato «mister trapano» per le torture alle quali i suoi uomini sottoporrebbero i «sospetti» terroristi sunniti. Entrambi i campi sono sostenuti dall’esercito americano e entrambi sono sotto il fuoco della resistenza irachena.

Di fronte a questa drammatica situazione l’Amministrazione Bush, per impedire il tracollo dell’occupazione prima delle elezioni di mediotermine, il prossimo novembre, starebbe considerando l’ipotesi di non ridurre più il contingente in Iraq da 138.000 a 100.000 uomini. Con i generali che chiedono invece nuove truppe e mezzi.