L’atlante del disordine mondiale è oggi scosso da «nuove emergenze» che anche l’Italia deve «prepararsi a fronteggiare», facendo la propria parte «con uno sforzo di coesione nazionale e un concreto impegno per garantire la pace». Parla nella sua doppia veste di capo dello Stato e capo delle Forze Armate, Giorgio Napolitano, indicando al Paese i focolai di tensione che potrebbero presto richiedere responsabilità supplementari ai nostri soldati: «dall’aggravarsi della situazione in Afghanistan all’incombere di gravi incognite nella regione che abbraccia Iraq e Iran, dal riaccendersi di acute contrapposizioni nei Balcani al trascinarsi di una crisi lacerante nel Medio Oriente». Le «preoccupazioni» del futuro prossimo, spiega, vengono da queste aree. E sull’Italia e sull’Europa grava, appunto, una «responsabilità alla quale non possiamo sottrarci e che non possiamo, come italiani e come europei, delegare ad altri», ad esempio agli Stati Uniti con le loro dirompenti iniziative unilaterali. Per il presidente della Repubblica, insomma, va considerato l’intero perimetro tracciato dall’articolo 11 della Costituzione. Non solo il famoso preambolo sul «ripudio della guerra», dunque, che ispira a intermittenza proteste antimilitariste. Ma pure la parte finale di quell’articolo, dove si contemplano i «doveri» di impegnarci ad «assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni», nell’ambito di interventi coordinati dalle organizzazioni internazionali. Certo, tutto ciò implica l’urgenza di «migliorare le capacità» dello «strumento militare» (attraverso «processi di razionalizzazione» e «programmi di professionalizzazione» già in corso), tenendo conto delle «difficoltà di fondo della nostra finanza pubblica». Ed è un tentativo in cui il Paese dovrebbe cimentarsi – ecco l’appello più politico di Napolitano – costruendo un’intesa bipartisan anche sulle risorse e mobilitandosi in «uno sforzo di coesione nazionale». Come si fa per una buona causa.
Quando si cerca, e si riesce a trovare, «il più intenso contributo propositivo e il più vasto consenso in Parlamento», coinvolgendo anche il «mondo dell’informazione e l’opinione pubblica». Tutto questo il capo dello Stato lo dice nel giorno che il calendario repubblicano dedica alle forze armate, prima di consegnare al Quirinale le onorificenze dell’Ordine Militare d’Italia. Diverse vengono attribuite per atti di valore compiuti in missioni (sono 8.000 i nostri soldati impegnati fuori dai confini), attivate per far fronte alla «minaccia del terrorismo internazionale e a molteplici forme di instabilità e guerre regionali».