Nanni, salta la scocca

Un altro pasticcio culturale è stato combinato dal centro-sinistra. A Torino. Un secondo ingorgo mortale (dopo l’accavallamento esiziale tra Venezia e Roma) che può risucchiare nella melma perfino Nanni Moretti. Da cui tutti, tranne l’esultante ministro per i beni culturali Rutelli e La Repubblica, il più disinteressato al cinema vivente tra i «quotidiani prestigiosi», si attendono ora che faccia almeno qualcosa di sinistra. Che si sganci, il regista autarchico (come ha fatto con la Festa di Roma, prevedendo il fiasco di una sagra sponsor-popolare a sale vuote) da chi, terrorizzato dall’autonomia «a mille piani» della cultura critica, vuol renderla omogenea, docile, controllabile e strumentalizzabile mediaticamente.
Nanni Moretti (che è anche esercente, distributore, organizzatore di festival) avrebbe infatti accettato ieri, incautamente, la nomina (formalmente scorretta), a direttore artistico di un nuovo festival di Torino, budget previsto 3 milioni di euro. Nomina imposta, in spregio a convenzioni firmate, dal Museo del cinema (direttore Barbera), dalla Film Commission Piemonte (direttore Della Casa) e dei tre assessori alla cultura locali (deprimenti, in altre nomine artistiche). Forse Moretti non vale ancora gli 11 milioni di euro del Cairo, Dubai o Roma, ma ne ha uno in più rispetto al finanziamento del pre-esistente Torino Film Festival, di cui gli enti locali e culturali piemontesi ieri, con gesto autolesionista, hanno decretato la condanna a morte. Infatti l’Associazione Torino Cinema Giovani (garanti personalità della cultura come Rondolino, Vattimo, Gorlier, Ventavoli e Vallero) che lo gestiscono non accettano di sottostare ad alcuna forma di controllo teorica o ideativa da parte dei politici.
Un principio basilare di autonomia che le democrazie occidentali salvaguardano, che Barbera e Della Casa (ex direttori di Torino) hanno dimenticato e che l’ex ministro dei beni culturali Veltroni non seppe tradurre in egemonia, quando, pretendendo che i ministri nominassero-controllassero le grandi istituzioni culturali, le distruggeva o condannava a una vacillante navigazione, peggio se bipartisan. Da cui questa «forzatura Moretti». Peccato, il festival internazionale di Torino, diretto con spregiudicata perizia da Giulia D’Agnolo Vallan e Roberto Turigliatto, forma, con la Mostra di Venezia di Muller e Pordenone, la nostra triade gloriosa, di livello mondiale. Così l’Associazione ha già annunciato la data dell’edizione 25, rinnovando l’incarico ai direttori, continuando a valorizzare e diffondere il cinema più estremo e innovativo, di oggi e di ieri, andando a uno scontro di tipo «Slamdance contro Sundance», a chi è più indipendente e talent scout.
Moretti è bravo e si è sempre battuto per un cinema impertinente. Ha tutte le carte in regola per dirigere una grande manifestazione. Ma non può essere strumentalizzato da quel centro-sinistra che fu proprio lui a richiamare alla limpidezza etica (nella lotta e nel governo). Un secolo fa, quando il cinema italiano primeggiava, per la prima e penultima volta, nel mondo, Torino ne era il cuore pulsante. L’industria e l’arte facevano il loro lavoro, costruivano prototipi, reali e immaginari, erano il mondo a venire, che il politico avveduto stimolava, leggeva e mai «controllava», pena la cecità nei suoi stessi movimenti.Quel nostro cinema colossale e esotico, sintesi di ricerca e sperimentazione, fu una fabbrica dei sogni avanzata perché aveva alle spalle Zanardelli. Poi arrivarono i Crispi famelici e «imperialisti».