Incurante dell’ira e delle critiche di George Bush, il presidente della Camera dei Rappresentanti Usa Nancy Pelosi – definita una «donna coraggiosa» dalla stampa siriana – ieri ha incontrato a Damasco il presidente Bashar Assad, dimostrando di aver compreso meglio del Segretario di stato Condoleezza Rice le conclusioni del rapporto della commissione Baker-Hamilton che nei mesi scorsi aveva raccomandato una ripresa del dialogo tra Stati Uniti, Siria e Iran. Certo non si può dare troppo peso a questo meeting insolito per il Medio Oriente ma sarebbe un errore sottovalutarlo, anche soltanto dal punto di vista simbolico. I sorrisi e le calorose strette di mano che hanno accompagnato le dichiarazioni rilasciate da Nancy Pelosi, sono un segno ben diverso dalle continue minacce di attacchi e bombardamenti che l’Amministrazione Bush continua a rivolgere alla Siria che considera parte di quell’«asse del male» da abbattere, ad ogni costo, come dimostra il sangue che scorre per le strade dell’Iraq a quattro anni dall’occupazione anglo-americana. La visita dalla Pelosi, alla guida di una delegazione bi-partisan, forse ha simbolicamente segnato la fine dell’era Bush in Medio Oriente ma i colpi di coda potrebbero rivelarsi devastanti. Nella regione molti si aspettano una nuova guerra per la prossima estate, in particolare un attacco Usa (o di Israele) contro l’Iran che avrà conseguenze gravi anche per la Siria e il Libano.
Il presidente della Camera dei Rappresentanti ieri ha consegnato ad Assad un messaggio in cui il premier israeliano Ehud Olmert si dice pronto ad aprire negoziati. «Siamo venuti in Siria con un messaggio di pace», ha dichiarato Pelosi all’aeroporto di Damasco, subito prima di partire per l’Arabia Saudita, dove concluderà la missione diplomatica iniziata in Israele e proseguita in Libano e Territori occupati palestinesi. «Era assolutamente necessario venire in questo paese e parlare col presidente Bashar Assad di tante questioni», ha aggiunto Pelosi. Assad ha dal canto suo fatto sapere che «per la Siria la pace è una scelta strategica» e che Damasco è impegnata nel raggiungere questo obiettivo «sin dalla conferenza di Madrid» del 1991. Ma da Israele, l’ufficio del premier Olmert ha immediatamente preso le distanze dalle parole di Pelosi con un comunicato «per chiarire» il senso delle dichiarazioni fatte dall’alto rappresentante Usa. La Siria, insiste Olmert, continua «a far parte dell’asse del male» e «incoraggia il terrorismo in Medio Oriente». I colloqui ufficiali tra Siria e Israele sono fermi dal 2000 dopo il fallito vertice tra l’ex primo ministro israeliano Ehud Barak e lo scomparso presidente Hafez Assad (padre di Bashar) sulla restituzione delle Alture del Golan alla Siria che Israele occupa dal 1967. Sono interrotti anche negoziati informali tra i due paesi, in corso fino all’estate 2006 grazie alla mediazione svizzera.
Le aperture della Pelosi a Damasco, nonostante la marcia indietro di Tel Aviv, potrebbero segnare una svolta nelle relazioni tra Siria e Stati Uniti? L’ottimismo dei mezzi d’informazione governativi siriani è molto forte ma pochi sono disposti a crederlo. «È ovvio che di fronte ad un visita tanto importante, da anni non giungevano in Siria esponenti politici americani di primo piano, giornali e televisioni ufficiali si diano da fare per sottolineare l’evento. A freddo però un po’ tutti, a cominciare dai leader, sanno che l’arrivo della signora Pelosi ha un significato solo simbolico. Alla Casa Bianca c’è ancora Bush e sino a quando ci sarà lui i rapporti tra i due paesi non cambieranno», ci diceva ieri l’analista siriano Basel Awdat. «Certo la signora Pelosi ha avuto molto coraggio a sfidare Bush ma a Damasco non ha detto cose molto diverse (rispetto all’attuale Amministrazione Usa) quando ha affrontato la questione dei movimenti armati che combattono l’occupazione israeliana oppure le crisi dell’Iraq e del Libano. Nella sostanza è cambiato molto poco e per ora il nostro paese dovrà accontentarsi del tono amichevole usato dalla rappresentante americana», ha aggiunto.
Riguardo la vicenda irachena, la Siria per capire le intenzioni americane attende la convocazione del secondo round di colloqui sulla cosiddetta «stabilizzazione» dell’Iraq che, dopo l’incontro a Baghdad del mese scorso, dovrebbe concretizzarsi in Turchia. Gli Stati Uniti nel frattempo in Libano continuano a sostenere i partiti che formano la coalizione di governo guidata da Fuad Siniora, che due giorni fa, con un atto di forza, interrompendo ogni dialogo con l’opposizione guidata da Hezbollah, hanno chiesto alle Nazioni unite di provvedere alla creazione della corte internazionale incaricata di processare i presunti responsabili dell’attentato all’ex premier Rafiq Hariri e che, nelle intenzioni di Washington e dei suoi alleati in Libano, e nei desideri di Israele, metterà sul banco degli imputati proprio la Siria.