Muro contro Emergency «Prove su Rahmatullah»

Ha chiesto più truppe per «rendere sicuro l’Afghanistan», ha assicurato che «il governo apprezza l’attività di Emergency», ma ha confermato che Rahmatullah Hanefi – il responsabile dell’ospedale a Lashkargah dell’associazione umanitaria, arrestato dai servizi segreti afghani – è accusato di essere un doppiogiochista, e che «le prove contro di lui ci sono», anche se non sarebbe in grado di dire quali. E’ quanto ha riferito l’ambasciatore afghano a Roma Musa Maroofi alla delegazione del presidio pacifista che ieri ha manifestato sotto la sede diplomatica afghana per chiedere l’immediata liberazione di Hanefi, accusato dal governo Karzai di essere un fiancheggiatore dei terroristi ma fino a ieri utile strumento del governo italiano per trattare con i talebani durante i sequestri, ultimo della lista quello dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo. Alla fine dell’incontro, l’ambasciata ha diramato un comunicato, in cui esprime «sincera gratitudine» per l’attività di Emergency, augurandosi che «possa presto riprendere le funzioni». E a proposito della vicenda di Hanefi, annuncia che «non appena il procedimento a suo carico sarà terminato», verrà reso pubblico l’interrogatorio. Il comunicato sottolinea: «Non sarebbe leale dimenticare che l’Afghanistan ha una vera democrazia e un’avanzata Costituzione». La delegazione era composta da Teresa Strada – moglie del presidente di Emergency, Gino – Raffaella Bolini, responsabile esteri dell’Arci, il presidente di «Un ponte per…» Fabio Alberti e il fondatore di Libera don Luigi Ciotti. All’ambasciatore hanno consegnato le 150 mila firme raccolte per liberare Hanefi. Fuori, con striscioni e bandiere, circa duecento persone.
L’invito dell’ambasciatore a chiedere «più truppe» è suonato a molti provocatorio, ma Raffaella Bolini assicura che «il clima è stato cordiale. Se dovessi analizzare il risultato ottenuto con questo incontro direi che ci sono luci e ombre. E’ un punto a favore il fatto che l’ambasciatore abbia detto l’esatto contrario di quanto sostenuto dai servizi di sicurezza afghani su Emergency, accusata di essere anch’essa legata ai terroristi. Ma sulla vicenda di Hanefi – prosegue Bolini – il bilancio è certamente negativo: l’ambasciatore si è detto sicuro che utilizzasse l’associazione come una copertura per la sua attività terroristica. E questo ci preoccupa molto». Di «aspetti preoccupanti» ha parlato anche Teresa Strada, considerando che Maroofi ha spiegato come «il sistema giudiziario afghano» preveda la possibilità che un detenuto «non entri in contatto con nessuno, né con un avvocato, né con i familiari. Né è previsto il diritto ad avere un capo di imputazione» quando si tratta di reati riguardanti la sicurezza nazionale. E proprio in questo campo ricadrebbero le responsabilità dell’operatore afghano di cui, dal 20 aprile, non si sa più nulla. E’ stato prelevato all’alba dai servizi segreti, due giorni dopo la liberazione di Mastrogiacomo, per la quale aveva svolto un ruolo essenziale. Sono seguite solo illazioni e inconsistenti accuse sulla sua attività terroristica da parte del capo della sicurezza del governo Karzai, e ben più consistenti voci sul fatto che sarebbe stato sottoposto a torture e sevizie, come riportato a Emergency da alcune persone che lavorano nel carcere in cui è detenuto. Quando Teresa Strada ha spiegato all’ambasciatore di temere che possano essere costruite prove contro di lui, Maroofi ha risposto sicuro: «Questo poteva accadere nell’Afghanistan di ieri, non in quello di oggi».
Di diversa opinione le persone che hanno presidiato la sede diplomatica, che poco si fidano del governo Karzai e della situazione di grave crisi in cui versa il paese. «Questa è una storia incredibile, bisogna tirarlo fuori. Chi potrebbe fare certamente di più è il governo italiano», diceva ieri durante il sit in Vauro, portavoce dell’associazione umanitaria (nonché vignettista del manifesto), visibilmente preoccupato per la sorte di una persona che conosce molto bene, e sulla cui affidabilità è pronto a mettere la mano sul fuoco, come tutti quelli che lo hanno conosciuto. Che l’arresto di Hanefi faccia parte di una partita più grossa lo dimostrano anche le pesanti accuse lanciate dal capo della sicurezza afghana contro Emergency – accusata di «fiancheggiare i terroristi» – che ha messo l’associazione in una situazione difficilissima, tanto da spingerla a evacuare tutto il personale internazionale. Ieri sono tornati a Kabul i tre coordinatori ma solo «per gestire un po’ la situazione», spiega Vauro.
A manifestare per Hanefi ieri pomeriggio c’era anche Silvia Baraldini, detenuta per vent’anni negli Stati uniti, anche lei condannata per terrorismo – «sono qui come una cittadina normale, mi sembra importante. D’altronde lo hanno fatto in tanti quando è toccato a me» – e il deputato del Prc Francesco Caruso, secondo cui «i sit-in sono utili, ma bisognerebbe anche trovare il modo di violare pacificamente le sedi diplomatiche». Rifondazione, come ha spiegato anche il responsabile del Dipartimento esteri Fabio Amato, sta lavorando per «fare in modo che una delegazione di parlamentari si rechi in Afghanistan per verificare le condizioni di detenzione di Hanefi. Questo, qualora il governo italiano non decida di muoversi con maggiore decisione». Per ora il governo Prodi non ha fatto molto per aiutare il mediatore del quale – all’occorrenza – si è servito. Le preoccupazioni, evidentemente, sono altre. Ieri il ministro della Difesa Parisi ha assicurato che verranno presto inviate nuove truppe in Afghanistan «probabilmente entro un mese, stiamo solo verificando la copertura finanziaria», ha spiegato.