Al quarto giorno del negoziato lo scontro Nord-Sud ormai è netto, profilandosi fino all’ultimo sangue. Al bando la diplomazia, nelle conferenze stampa si parla apertamente. In ballo non solo la ministeriale di Hong Kong e l’intero ciclo negoziale lanciato a Doha, ma il futuro della Wto e del sistema multilaterale commerciale. Apre la giornata il Commissario europeo al commercio, visibilmente provato dalla Green Room della notte. Si lamenta a scena aperta perché nessuno, tranne gli europei, hanno davvero voglia di negoziare in questa ministeriale. Non solo è preoccupato per l’esito della settimana asiatica della Wto, ma per l’intera agenda di Doha. Rispondono gli americani, finiti maggiormente sotto attacco per la loro superflua offerta sul cotone, che non convince nessuno. Riaffermano un impegno ad ottenere un risultato utile per l’economia americana, ma è chiaro che la partita politica va oltre il semplice negoziato tecnico.
Tutti con il Malawi contro il Gats
Nel pomeriggio il fronte dei 90 paesi poveri presenta la sua proposta alternativa sulla liberalizzazione dei servizi. Encomiabile il ruolo del ministro del poverissimo Malawi nel convincere gli altri paesi meno sviluppati a muoversi. Ma incredibilmente il presidente del gruppo negoziale sui servizi, il coreano Kim Hyun Chong, non fa circolare il testo tra i paesi membri, tra le proteste del Sud. Nel frattempo c’è chi osa di più: Sud Africa, Venezuela, Filippine e Indonesia scrivono formalmente al ministro coreano chiedendo che l’intera bozza sui servizi sia stralciata dalla dichiarazione finale del vertice.
Hanno intuito che ormai l’Ue ha mollato sul Gats, rinunciando a presentare una nuova proposta scritta, e si è allineata con gli Usa accontentandosi del testo attuale. Un comunicato farneticante del gruppo di lobby «European Services Forum», praticamente portavoce di Mandelson sul tema dei servizi, conferma che l’arretramento europeo va bene.
La svolta del negoziato arriva però a metà pomeriggio, con la conferenza stampa comune del G20 a guida indo-brasiliana e del G90 costituito dal fronte dei più poveri. Nasce il gruppo dei 110 paesi, praticamente il Sud del mondo parla con una sola voce. I sette ministri che rappresentano i vari raggruppamenti chiudono la conferenza stampa in piedi mano nella mano dicendo chiaramente che loro sono la maggioranza del Wto e hanno deciso di guidare la baracca. Un boato da stadio in sala, sembra di essere a Cancun, ma c’è qualcosa di più. Un’opportunistica Oxfam sale sul palco con il suo striscione guidata da Mary Robinson, ex commissario sui diritti umani delle Nazioni Unite.
Ormai la partita è solo politica e la reazione del Nord è immediata e durissima. Persino l’inesistente delegazione italiana convoca una conferenza stampa, finalmente formale, ed un rabbioso vice-ministro Adolfo Urso sfiora l’insulto per una lista chiara di paesi: Indonesia, Brasile, India, Namibia, Venezuela, Filippine ed anche l’Argentina, così importante per gli investitori italiani. Ugo Biggeri di Mani tese nota che quando nel Wto inizia a funzionare il multilateralismo, i paladini a parole di questo, come il vice-ministro Urso, si mostrano pericolosi per la democrazia.
Sorprende che la tattica negoziale complessiva dell’Europa sia ora quella di attaccare sui prodotti industriali e non più sui servizi. Qualcuno addirittura maligna che alcuni governi europei siano in contatto con i negoziatori Usa perché insoddisfatti della linea di Mandelson, e per questo attaccano sui prodotti industriali senza alcun tempismo. In questo modo, infatti, l’Europa finirebbe ancora più nell’angolo.
Ma la giornata è stata di svolta anche per la società civile globale. La diplomazia della «super-potenza movimentista» entra nel negoziato. Ci sono incontri bilaterali continui con Venezuela, Sud Africa ed altri paesi. Non ci si fida ancora dei poteri forti del Sud, quali il Brasile e l’India, ma il confronto è franco, carte alla mano.
Inizia la lunga notte del Wto e subito trapelano in sala stampa le nuove proposte scritte che la Commissione europea, consigliata presumibilmente dall’astuto Pascal Lamy, avrebbe portato all’incontro ristretto. Sui servizi si arretrerebbe ulteriormente, rinunciando ad un nuovo approccio negoziale più vincolante e plurilaterale. Sull’agricoltura poche briciole rispetto a quanto richiesto dal Sud. Si concederebbe alle economie più vulnerabili un meccanismo di salvaguardia in più e si lascerebbe ad un futuro negoziato l’approvazione della data del 2010 per l’eliminazione degli odiosi sussidi all’export, che generano dumping sui fragili mercati dei paesi poveri. Allo stesso tempo l’Europa chiederebbe di più agli Stati Uniti nella cancellazione dei suoi meccanismi di credito all’esportazione, ma concederebbe altri tre mesi per risedersi al tavolo con una nuova proposta. In più l’Ue apre alla possibilità di rivedere anche i sussidi agricoli della «scatola verde», ossia quelli presumibilmente non distorsivi del mercato.
Europa: o così o me ne vado
Sorprendentemente l’Europa, però, non sembra intenzionata a trattare ulteriormente i due dossier negoziali dei servizi e dell’agricoltura. O gli altri membri del Wto li accettano così, lasciando aperto solo il negoziato sui prodotti industriali, oppure l’Ue abbandonerebbe Hong Kong. In sostanza, Mandelson getta la maschera sulla retorica dello sviluppo e cerca una via di uscita veloce che però consenta di ritoccare al rialzo i testi entro marzo 2006, magari ad un Consiglio Generale di Ginevra lontano dalle telecamere e dalle pressioni della società civile, e con pochi negoziatori dei paesi in via di sviluppo. Pascal Lamy promette un nuovo testo della dichiarazione finale entro le sei della mattina. E’ senza dubbio la notte più lunga della storia del Wto, ma anche per il nascente fronte unico del Sud, a cui ora passa nuovamente la palla.
*Crbm/Mani Tese