Msf: «Nel Sud vita indecente per gli stagionali immigrati»

Medici senza frontiere ha pubblicato la scorsa estate il dossier “I frutti dell’ipocrisia” sulle condizioni di vita e salute degli immigrati che lavorano stagionalmente nel sud Italia, e in questi mesi l’associazione ha operato in alcune regioni del meridione. Ruggero Giuliani, coordinatore del progetto operativo Missione Italia, spiega a Liberazione i risultati emersi da questo lavoro.

In che modo e in quale aree opera Missione Italia?

Dal 1999 ci occupiamo di assistenza sanitaria agli immigrati in prevalenza “regolari” ma anche ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Abbiamo due tipi di progetti: uno che riguarda l’accoglienza, e si svolge prevalentemente sulle coste della Sicilia in provincia di Ragusa, Agrigento e Lampedusa, l’altro che riguarda l’assistenza sanitaria ai lavoratori stranieri impiegati nell’agricoltura per incrementare la legge Bossi Fini, che in materia sanitaria non ha assolutamente mitigato i problemi esistenti all’epoca della Turco-Napolitano. La filosofia dei nostri progetti, che abbiamo battezzato come “cometa”, è quella di non creare sistemi paralleli e privati ma di collaborare con le Asl nei territori. Si tratta per lo più di protocolli d’intesa svolti in seguito ad un monitoraggio puntuale nelle zone di Napoli, nel foggiano, nella piana di Gioia Tauro e in tutta la provincia di Reggio Calabria, più le aree siciliane di Cassibile, Siracusa e Ragusa. Queste zone sono interessate da un alto afflusso di lavoratori.

Quali sono stati i dati più rilevanti emersi dalle vostre inchieste?

Nel corso del progetto, Msf ha visitato e intervistato 770 persone (su un totale stimato di 12mila lavoratori stagionali immigrati impiegati in agricoltura nel Sud Italia). I risultati dell’inchiesta, come già successo lo scorso anno sono piuttosto allarmanti: la grande maggioranza dei lavoratori incontrati vive in condizioni igieniche e alloggiative inaccettabili e non rispondenti agli standard minimi fissati dall’Alto commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) per l’allestimento di campi profughi in zone di crisi: il 40% vive in edifici abbandonati; il 36% vive in spazi sovraffollati; più del 50% non dispone di acqua corrente; il 30% non ha elettricità; il 43,2% non dispone di toilette; la maggior parte dei lavoratori immigrati riesce a mangiare solo una volta al giorno (per lo più la sera), anche nelle giornate in cui lavorano nei campi per 8-10 ore; il 48% di loro ha dichiarato di percepire 25 euro o meno per giornata di lavoro; molti riescono a trovare lavoro solo per tre giorni a settimana e le loro entrate sono quindi molto ridotte; il 30% dei lavoratori deve pagare di tasca propria al caporale il trasporto fino al luogo di lavoro (in media 5 euro al giorno). E’ dunque naturale che il 53,7% dichiari di non riuscire a inviare alcuna somma di denaro nel Paese d’origine.

Ci sono state differenze forti tra l’esperienza dello scorso anno e quella di quest’anno?

Noi gestiamo gli ambulatori per un periodo di tempo limitato che va dai sedici ai diciotto mesi poi ridiamo queste strutture alle Asl con la promessa da parte loro di portarli avanti con personale autonomo. A differenza dello scorso anno, durante il quale abbiamo svolto un servizio itinerante, in questi mesi abbiamo operato con strutture fisse riscontrando maggiore sensibilità ed attenzione da parte delle autorità. Statisticamente i nostri pazienti sono uomini tra i 20 e i 40 anni che arrivano in Italia in buona salute ma che si ammalano a causa delle condizioni igieniche o dello stress da lavoro. Le principali patologie sono legate ad infezioni intestinali causate da cattiva alimentazione oppure a banali dermatiti curabili con farmaci reperibili facilmente.

Esiste un’ assistenza sanitaria pubblica per gli stranieri?

L’accesso all’assistenza sanitaria pubblica sembra ancora un miraggio per questi lavoratori perché manca la figura del medico di base, quello di primo livello. La legge italiana prevede che tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti (compresi richiedenti asilo e rifugiati) beneficino di un’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) alle stesse condizioni degli italiani; gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio, in caso di necessità di cure mediche, possono accedere alle strutture pubbliche con la garanzia dell’anonimato (e quindi senza correre il rischio di essere espulsi) grazie al rilascio di un codice numerico detto STP (straniero temporaneamente presente). Questi diritti restano solo sulla carta per la maggior parte degli stranieri impiegati in agricoltura: nonostante la legge, il 75% dei rifugiati, l’85,3% dei richiedenti asilo e l’88,6% degli stranieri irregolarmente presenti visitati da MSF non beneficiava di alcun tipo di assistenza sanitaria.