*Direzione nazionale PRC, Coordinatore nazionale de l’Ernesto
Potremmo mettere a fuoco due punti entro i quali collocare l’odierna, ultima, degenerazione iperliberista, antidemocratica, reazionaria del governo Berlusconi. Il primo punto è il seguente: la deputata Catia Polidori, già entusiasta sostenitrice di Fini e di “Futuro e Libertà”, nel giorno della fiducia alla Camera, lo scorso 14 dicembre, decide “improvvisamente”, uscendo da dietro una tenda dell’Aula ove s’era vergognosamente nascosta, di votare “no” alla sfiducia al governo. Sino alla sera del 13 dicembre Fini era sicuro che l’onorevole Polidori avrebbe assunto la linea della sfiducia a Berlusconi. Viceversa, il voto della Polidori è uno dei tre che salvano il governo delle destre. Perché la Polidori cambia idea tanto celermente? Perché tradisce Fini dove essere stata una delle più appassionate fondatrici di “Futuro e Libertà”? Perché la deputata in questione è cugina del presidente nazionale del CEPU, l’università privata on-line alla quale Berlusconi ha promesso e garantito 36 milioni di euro di contributi statali. Ed è stato lo stesso finiano Luca Barbareschi a denunciare il fatto e dichiarare alla stampa che “ la Polidori è stata minacciata dai berlusconiani, i quali le hanno chiaramente detto che se non avesse votato il “no” alla fiducia le sue aziende di famiglia avrebbero chiuso”.
E’ l’iperliberismo che vince, che segna sia i berlusconiani che i finiani, verso i quali troppo celermente e sciaguratamente pezzi importanti del PD si sono rivolti con le braccia aperte.
Il secondo punto ove collocare l’attuale e molto oscura traiettoria politica berlusconiana è l’ “editto Gasparri”, secondo il quale è giunta l’ora dello stato di polizia.
Tra il caso Polidori e il ghigno fascista di Gasparri scorre e si costituisce un intero progetto sociale e politico: la distruzione totale di ciò che resta del welfare, della scuola pubblica, attraverso la repressione militare.
Chi è sceso in campo per difendere la Gelmini ha urlato ai quattro venti che nel suo decreto legge non vi sarebbero spostamenti economici rilevanti verso le scuole e le università private. E’ vero, parzialmente vero: nel decreto Gelmini vi è “solo” il progetto di distruzione della scuola pubblica, vi è “solo” l’attacco finale ai precari, agli insegnanti e ai lavoratori scolastici; un attacco alle condizioni degli studenti e un’offensiva dal carattere fascista e incivile contro gli alunni portatori di handicap, ai quali è sottratto tutto: dagli insegnati di sostegno, ai mezzi tecnici alla dignità.
La sottrazione di fondi verso la scuola e l’università pubblica e il loro spostamento verso le scuole e le fondazioni private, è vero, sono contenute nella Legge 133 ( la Finanziaria Tremonti – l’uomo “di sinistra” che piaceva al centro sinistra, che leaders del centro sinistra avevano persino proposto come capo di un ipotetico governo di transizione – votata lo scorso 28 agosto). E’ in tale Legge che si decreta lo spostamento di 450 milioni di euro dall’università pubblica alla formazione privata, dopo aver già spostato 380 milioni di euro dalla scuola pubblica a quelle cattoliche e dei privati. E tutto ciò assommato – occorre ricordalo – ai 500 milioni di euro che ogni anno si spendono solo per la guerra in Afghanistan e ai 600 milioni di euro per il riarmo filo NATO e filo – americano degli ultimi tre anni.
E’ del tutto evidente che l’attacco del governo Berlusconi e del capitale italiano alle condizioni di vita dei lavoratori e delle famiglie è generale e non è portato solo contro la scuola e l’università pubblica: basterebbe ricordare le condizioni della classe operaia italiana : 5 milioni di lavoratori in tuta blu che tribolano nelle fabbriche, che patiscono il più alto tasso di infortuni dell’intero mondo del lavoro; che subiscono il più alto tasso oggettivo di sfruttamento padronale; sui quali si allarga a macchia d’olio la precarizzazione; che, in condizioni lavorative spesso ottocentesche ( quelle degli operai della Tyssen Krupp sono più una regola che un’eccezione, non solo nelle fonderie e nella siderurgia); sui quali si sta abbattendo il “ciclone Marchionne”, che punta a rompere anche con la Confindustria per inventarsi un contratto di lavoro operaio da mondo schiavizzato; contro i quali, nel 2010, si è lanciata la scure della cassa integrazione di massa, che ha portato a 600 mila – sino al novembre 2010 – i cassaintegrati operai; che ha portato ognuno di questi 600 mila cassaintegrati di fabbrica a perdere 7.600 euro di salario annuale, 8 mila a fine 2010. Come dire: sotto la possibilità della sopravvivenza e vicini alla linea della miseria.
Ed è a partire da ciò che possiamo considerare “conseguente” – quanto inquietante e reazionario – il progetto di costruzione di uno stato di polizia che – espresso con più vigore e protervia da parte di Gasparri – è sostenuto con la stessa determinazione da La Russa, Alemanno e dall’intero governo Berlusconi.
Il movimento studentesco era già stato definito da Gasparri di “stampo terrorista”; poi, il capogruppo PDL al Senato, tirando fuori dal proprio vecchio intestino di picchiatore fascista la violenza propria dei più genuflessi servitori dei padroni, ha teorizzato e chiesto – sostenuto dal ministro dell’Interno Maroni, “ gli arresti preventivi per gli studenti” e un allargamento ( di stampo pinochettista) del DASPO ( il divieto di accedere alle manifestazioni sportive). Rievocando con ciò, non sappiamo se consapevolmente o meno – ma, mai come in questo caso, il confine tra consapevolezza e inconsapevolezza è incerto – il Testo di Pubblica Sicurezza del ventennio fascista del 1926, quello che contribuì a dar corpo al regime repressivo e reazionario di Mussolini; quel Testo che faceva scattare le misure di prevenzione solo in base ai sospetti e alle delazioni anticomuniste, antisocialiste e antidemocratiche, che violava ogni diritto nella misura in cui non richiedeva più l’accertamento delle responsabilità dirette per fatti considerati reati dalla Legge. Ed è da questo punto di vista che va letto l’ennesimo attacco .- quello di questi giorni – di Gasparri e di Berlusconi alla Magistratura, rea di esercitare il Diritto e le sue garanzie di base. E’ dal punto di vista dell’ “esigenza” reazionaria degli odierni Farinacci (Gasparri col manganello in mano; Maroni che attacca la Magistratura come fosse un agente del Nuovo Piano Gelli; Alfano che contro la Magistratura ordina ispezioni ministeriali come poteva fare un Videla qualsiasi) che va letto il tentativo congiunto governo-padroni di liberarsi dei lacci e laccioli che vengono dalla Magistratura, dalla Legge, dalla Costituzione.
I racconti degli studenti arrestati il 14 dicembre e poi rilasciati dalla Magistratura ricordano in tutto e per tutto gli orrori di Genova: “ Ci tenevano al gelo – hanno raccontato – senza bere né mangiare, né poter andare in bagno. Chi chiedeva un po’ d’acqua o si lamentava per le ferite aperte, per le botte prese dalle forze dell’ordine, veniva deriso, minacciato, di nuovo picchiato. Ricordatevi di Bolzaneto – ci dicevano. Per 14 ore, nel centro di identificazione di Tor Cervara, abbiamo subito ogni tipo di angheria e di terrorismo psicologico, con la consapevolezza che laggiù, in quella specie di carcere, di spazio vuoto sospeso nel nulla, lontani da tutto e da tutti, ci sarebbe potuto accadere ogni cosa”.
E’ lo stile repressivo genovese, che torna e che essendo già utilizzato come apertura della campagna elettorale delle destre per le prossime e probabilmente vicine elezioni ed essendo volto ad organizzare consenso nella paura, nell’inconsapoevolezza e nel perbenismo di massa, è destinato ad accentuarsi nella sue forme violente nelle piazze, nei suoi attacchi concreti e propagandistici contro la Magistratura e il Diritto e nella sua stessa proposta generale di costruzione di uno stato di polizia, un ordine poliziesco considerato, come il razzismo, “popolare”, portatore di consenso e di voti.
Il tentativo di demonizzazione del movimento studentesco – dopo quello, praticato su vastissima scala, della FIOM – è l’altra faccia della medaglia reazionaria: repressione di stato contro i
“terroristi”. E in pochi sono coloro che – sul piano pubblico – hanno il coraggio di indicare un pericolo centrale, un tumore della democrazia: il ruolo e la presenza dei provocatori all’interno del movimento. E’ stata la stessa Anna Finocchiaro , capogruppo PD al Senato ( non sospettabile, certo, di tendenze bolsceviche) che ha chiesto l’apertura di un’inchiesta sugli scontri romani del 14 dicembre, che ha chiesto di far luce sull’eventuale presenza organizzata tra i manifestanti di agenti provocatori. Ed è stato addirittura il leghista Bricolo ad affermare con inconsueta nettezza che
“ coloro che hanno diretto le devastazioni e messo a rischio, nella manifestazione di Roma, sia i manifestanti che le forze dell’ordine, non erano studenti”.
Si sa: come a Genova, come nell’intera storia delle lotte del movimento operaio e studentesco, per le forze “nere” che percepiscono lauti stipendi statali e privati al fine di provocare, far demonizzare e svilire le lotte di massa e spostare sul terreno della violenza pezzi del movimento, quello delle piazze piene è il tempo in cui si torna, mascherati, al lavoro.
Le lotte di questi mesi della FIOM, della classe operaia, le lotte del movimento studentesco italiano ( che non sono di oggi, ma in campo da oltre due anni), unite alle lotte in Inghilterra, in Francia, in Grecia, in Portogallo, ci dicono che un nuovo inizio è possibile.
Ciò che occorre in Italia è che i comunisti e le forze della sinistra, la stessa Federazione della Sinistra, siano in campo davvero; che assumano sino in fondo la concezione secondo la quale è lì, nelle piazze, nel movimento di lotta generale, che i comunisti e la sinistra possono far crescere la loro massa critica sociale e politica e con questa massa critica accresciuta partecipare alla lotta – sociale, ma anche elettorale – contro le destre.
Oggi, per i comunisti e le forze della sinistra, per la FDS, occorre come il pane una parola d’ordine semplice quanto efficace: ogni piazza un presidio democratico permanente contro lo stato di polizia nascente. In ogni piazza d’Italia un gazebo permanente (accanto al quale sventolino, sempre, anche le bandiere rosse con la falce e il martello) contro le teorie repressive e militari del nefasto e truculento quartetto Gasparri – Mantovano – Maroni – Alfano.
E’ così, nelle lotte, nelle piazze, nel vivo del conflitto che dobbiamo avviare, noi comunisti, il processo per l’unità dei comunisti e per la “ ricostruzione del Partito Comunista”. Ed è così, in quel fuoco, che va rilanciata la Federazione della Sinistra e costruita l’unità della sinistra di lotta e di cambiamento.
Il tempo che viviamo è buio, e quest’oscurità ne ricorda altre. Era Pietro Calamandrei, in uno splendido scritto pubblicato nella rivista “ Scuola democratica”, il 20 marzo del 1950, a scrivere :
“Facciamo l’ipotesi che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la Marcia su Roma e trasformare l’aula parlamentare in un alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza, in queste scuole; c’è sempre stata, persino sotto il fascismo. Allora il partito dominante segue un’ altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, a impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi di andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori, si dice, di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche a quelle private. In quelle scuole private gli esami saranno più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa privilegiata… Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: rovinare le scuole di Stato, lasciare che vadano in malora; impoverire i loro bilanci; ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza ed il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole privare denaro pubblico. Questo è il punto: dare alle scuole private denaro pubblico”.
L’articolo di Calamandrei sembra scritto oggi: coglie l’odierno rapporto tra l’attuale capitalismo italiano (che invece di investire, per vincere la concorrenza e conquistare mercati, sulla tecnologia e sulla formazione, punta all’abbattimento del costo del lavoro) e la distruzione delle scuole e delle università pubbliche, chiarendo il fatto che la formazione, oggi, è snobbata, rimossa, sia dal liberismo politico che dalle strategie del capitale.
Ma le riflessioni di Calamandrei ci dicono anche tutta la giustezza delle lotte del movimento studentesco, che proprio perché tendono a mettere in discussione il piano generale dell’Unione europea liberista, delle destre di governo e del capitalismo; proprio perché, unendosi alle lotte operaie, puntano ad un altro futuro, sono demonizzate e represse dal potere. Che contro esse gioca il tutto per tutto, mettendo in campo non solo la violenza repressiva, ma anche il gioco ambiguo, oscuro e storico dell’inquinamento dei movimenti attraverso agenti provocatori propri. Assoldati dallo Stato e dai padroni.