MOSCA – La Russia esce dal Trattato sulla riduzione delle forze convenzionali in Europa. Il presidente Vladimir Putin ha firmato un decreto che sospende la partecipazione di Mosca al “Cfe”, Conventional Forces in Europe, il patto che limita il numero di armi pesanti dispiegate fra l’Oceano Atlantico e gli Urali che è stato l’architrave del disarmo nel dopo-guerra fredda.
La Russia aveva già annunciato mesi fa una moratoria sul Trattato accusando i paesi occidentali di non aver ratificato una versione emendata del Patto firmata nel 1999. Putin ha anche accusato i paesi della Nato di aver violato il Trattato sui missili balistici (Abm) con il progetto dello Scudo spaziale.
Il decreto entra immediatamente in vigore, ma il ministero degli Esteri russo ha precisato in una nota che la moratoria “non significa che la Russia abbia chiuso la porta al dialogo. Nel caso in cui le questioni sollevate dovessero trovare risposta”, continua il comunicato, “sarà possibile assicurare in tempi brevi l’osservanza da parte di tutti di quanto previsto dal trattato”.
Durante la sospensione, precisa il ministero degli Esteri russo, i rapporti informativi e le ispezioni saranno congelati e Mosca non sarà vincolata al rispetto di alcun limite sul fronte delle armi convenzionali. Ma la disponibilità reale dell’arsenale russo “dipenderà dagli sviluppi della situazione militare e politica, inclusa la disponibilità di altri Paesi aderenti al trattato a mostrare una adeguata moderazione”: un chiaro riferimento all’atteggiamento che Washington deciderà di assumere.
Immediata la reazione della Nato, che ha criticato la decisione. “E’ deludente, un passo nella direzione sbagliata”, ha affermato il portavoce dell’Alleanza atlantica, James Appathurai, “i Paesi membri considerano quel trattato come un importante pilastro della sicurezza e della stabilità europee”.
La moratoria era stata minacciata dal leader russo il 26 aprile scorso, sullo sfondo della contrapposizione con l’Occidente sul piano Usa per l’installazione dello scudo antimissile in Polonia e Repubblica Ceca. Pochi giorni dopo Putin aveva lanciato un ultimatum, ventilando l’ipotesi di un’uscita unilaterale di Mosca nel caso in cui i paesi membri della Nato non avessero ratificato il Cfe. E nessuna soluzione era stata trovata durante la recente conferenza straordinaria dei Paesi aderenti al trattato, svoltasi a Vienna dal 12 al 15 giugno.
Firmato il 19 novembre 1990 a Parigi dai paesi della Nato e dell’allora Patto di Varsavia, il Trattato Cfe sulla riduzione degli armamenti convenzionali in Europa (carri armati, artiglieria, mezzi blindati, aerei da combattimento ed elicotteri d’attacco) ha avuto poi diverse revisioni, dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica.
Inizialmente, il Trattato prevedeva che entro il novembre del 1995 i paesi della Nato e quelli dell’Est riducessero le forze convenzionali, nel territorio tra l’Atlantico e gli Urali, entro tetti comuni stabiliti, ma la disgregazione del blocco sovietico ha reso necessari diversi adeguamenti.
Una prima modifica al trattato Cfe, il cosiddetto Cfe-1a, è stata conclusa nel luglio del 1992. La versione definitiva, stesa nel 1999, ha fissato nuovi tetti per ogni paese firmatario e non più sulla base dei due blocchi come avveniva nel primo trattato.
Il presidente americano Bill Clinton dichiarò che non avrebbe sottoposto a ratifica il trattato fino a che la Russia non avesse ridotto la sua presenza militare nel Caucaso (Georgia e Moldavia) e soprattutto in Cecenia. La Russia, a sua volta, ha spesso insistito perché il trattato fosse sottoscritto anche dalle Repubbliche baltiche.
L’accordo del 1999, ratificato solo da Ucraina, Bielorussia e Kazakhstan, era stato firmato nel 2004 anche da Putin, dopo l’approvazione da parte della Duma.