Morto di uranio, prove cancellate

Il caso di un militare ucciso dal cancro dopo diverse missioni in Bosnia e Kosovo. La Difesa dà la pensione alla vedova, ma «sbianchetta» dai fogli matricolari il suo lavoro nei Balcani. Le prime denunce dei carabinieri

Si scrive linfoma di Hodgkin, si legge, da qualche anno a questa parte, uranio impoverito. Soprattutto se ad ammalarsi sono militari di ritorno dalle missioni nei Balcani. Proprio mentre la commissione d’inchiesta votata all’unanimità lo scorso 17 novembre fa fatica a insediarsi e l’opposizione denuncia i tentativi di «insabbiamento» da parte di Forza Italia, il partito del ministro della difesa Martino, arrivano le prime denunce da parte dei carabinieri e vengono fuori dei casi piuttosto inquietanti. Come quello del marinaio Domenico Lofaro, morto per un linfoma al midollo spinale lo scorso 30 aprile. Nello «stato di servizio» fornito dal ministero della difesa, infatti, il povero Lofaro risulta arruolato, per «corso volontario», a Mariscuola Taranto il 22 aprile dell’85. Da allora, con tanto di date e giorni di servizio, vengono elencate tutte le sue attività: sulla fregata speciale Orfun come sulla nave salvataggio Proteo, finanche una missione nel Sinai. Nulla di nulla sui fronti di guerra o laddove sono stati utilizzati proiettili all’uranio impoverito, dalla Somalia alla Bosnia e Kosovo, fino all’Iraq. Spulciando bene nei trascorsi del militare, alla voce «attribuzioni» si scopre invece, accanto a una «croce commemorativa» per la missione nel Sinai, a una «croce d’argento per 16 anni di anzianità di servizio», a una «medaglia Nato» e una «medaglia d’onore di lunga navigazione di terzo grado», anche una «medaglia Weu» per l’«operazione ex Jugoslavia», conferitagli il 23 luglio del `99.

Perché, dunque, la sua missione «di guerra» è stata cancellata dal foglio matricolare? Una possibile risposta la dà Antonio Savino, presidente dell’Unione nazionale arma carabinieri (Unac): «Il motivo potrebbe ricercarsi nel fatto che molti reduci dalle missioni nella ex Jugoslavia sono rimasti contaminati dall’uranio impoverito, fenomeno che da tempo i vertici militari tentano di nascondere e sminuire nella sua entità». Ad avvalorare il sospetto che si sia voluto mettere a tacere il caso c’è il fatto che alla vedova è stata riconosciuta una pensione ad appena un mese dalla morte. Il 20 aprile del 2004 a Lofaro viene effettuato l’esame istologico, tre giorni dopo la moglie presenta richiesta di pensione, il 30 aprile il militare muore e la pensione viene riconosciuta il 27 maggio. «Il che fa pensare che i medici conoscevano l’esito infausto della malattia o si è trattato del classico avvicinamento dei familiari, con benefici economici per indurli al silenzio sulla morte del congiunto», sostiene Savino.

Tanto più che il caso non appare isolato. L’Unac sta preparando un libro bianco che consegnerà alla commissione d’inchiesta appena questa diventerà operativa. «Gli ospedali militari non certificano mai le cause di servizio e non diagnosticano i linfomi», è la denuncia. Come è accaduto al carabiniere calabrese Ciro Nastri. Rientrato da qualche anno dalle missioni in Bosnia e Kosovo, in un ospedale militare gli hanno diagnosticato una gastrite che si è poi rivelata un linfoma di Hodgkin. «Ma il problema che abbiamo è che, di fronte al rischio di essere «congedati» senza stipendio né pensione, i carabinieri che ci contattano preferiscono poi non denunciare», dice ancora Savino. E «ora cominciano ad arrivare quelli di ritorno dall’Iraq, che ai primi sintomi sono terrorizzati. Anche perché non sono state diffuse le mappe delle zone in cui sono stati utilizzati i proiettili all’uranio impoverito, e ci chiedono informazioni sulle zone in cui hanno prestato servizio. E’ assurdo che i carabinieri continuino a partire senza protezione e senza alcuna informazione».

Un altro caso «sospetto» è quello del marinaio Crispino Adragna, 25 anni da Trapani, colpito da linfoma durante il servizio militare sulla nave Perseo, «che monta armi missilistiche» e che secondo i vertici militari non avrebbe mai lasciato, nel periodo interessato, il porto di Taranto, al contrario di quanto affermato dal militare ammalato, che dichiara di essere stato nella ex Jugoslavia ai tempi del conflitto. Per l’Unac si tratterebbe dell’«ennesimo tentativo di depistaggio dei massimi vertici militari».