Morti sul lavoro, il sindacato da solo contro le resistenze delle aziende

Dieci morti sul lavoro nei primi tre mesi, quasi cento dal 2000 ad oggi; la situazione nella provincia di Bergamo è estremamente preoccupante. Il problema investe tutti i settori, coinvolge aziende piccole e grandi, comprese quelle con un alto tasso di sindacalizzazione. Dopo gli ultimi omicidi bianchi, la Fiom ha chiesto a Cigl, Cisl e Uil uno sciopero generale provinciale per denunciare la gravità della situazione e le evidenti responsabilità delle imprese. Lo sciopero generale, dopo qualche titubanza, è stato dichiarato per domani. Sarà di due ore, con presidio a fine turno. Segnale importante anche se, a mio parere, debole e di circostanza rispetto alla gravità della situazione. Un presidio in serata, dopo la giornata di lavoro, suona davvero male. Alcune Rsu metalmeccaniche infatti aggiungeranno altre ore di sciopero. I meccanici chiedono e vogliono esserci senza tentennamenti, per uscire da un’emergenza che i lavoratori stanno pagando ormai da troppo tempo.
Quale potrebbe essere una strada per affrontare il problema, evitando che l’aumentata sensibilità su scala nazionale ripieghi solo nell’attesa taumaturgica del Testo Unico sulla sicurezza?
Rapidi interventi legislativi sono necessari ed importanti, purché si comprendano veramente le cause e le responsabilità di ciò che sta accadendo. Ricordiamo tutti l’atteggiamento delle imprese quando venne introdotta la Legge 626. Sostenevano che il recepimento delle Direttive Europee avrebbe portato alla chiusura di moltissime aziende. Trascorsi ormai più di dieci anni, nessuna azienda ha mai chiuso se non per qualche giorno in casi di assoluto pericolo e gravissime violazioni. La sicurezza dei luoghi di lavoro e il livello degli infortuni ne hanno fatto le spese. Come mai nessuna azienda ha chiuso e i morti continuano ad aumentare?
Una larga parte delle aziende considera ancora la legge e le normative sulla sicurezza con lo spirito di allora. Valga come esempio uno degli ultimi infortuni mortali verificatosi in provincia di Bergano, alla Marcegaglia di Boltiere. Un gruppo industriale importante come Marcegaglia appalta i lavori di costruzione a un’impresa edile, autorizzandone anche il subappalto. A lavori avviati da mesi, si verifica un infortunio mortale, vittima un lavoratore in nero. Solo a quel punto ci si accorge che l’azienda in appalto ha una struttura societaria che include tutti i lavoratori come soci della stessa. Tutti i muratori sono soci dell’azienda per cui lavorano: una società trasformata in pseudo cooperativa. Nessuna verifica preventiva prima d’affidare i lavori, nessun controllo in fase di realizzazione.
Il comportamento delle aziende nei confronti dei Rls, che con attenzione ed impegno pongono alcune questioni e a volte chiedono investimenti sugli impianti e sulle strutture, resta ostile. Quasi tutti i piani di valutazione dei rischi vengono preparati dalle aziende senza coinvolgere gli Rls.
Le quotidiane dichiarazioni su prevenzione, formazione, controlli sono retoriche se non si interviene radicalmente sulle condizioni di precarietà e frammentazione dei luoghi di lavoro. Si può parlare di sicurezza nelle aziende in cui ci sono appalti e subappalti, decine e decine di gruppi di lavoratori che rispondono fittiziamente ad aziende diverse ma ad un interesse unico, cioè di chi è alla testa dell’impresa? Si può parlare di sicurezza e poi chiedere al sindacato di convenire su una contrattazione che lega parte degli incentivi economici alle percentuali di infortunio, come se i soldi scoraggiassero i lavoratori a farsi del male? Oppure, chiedere d’intervenire sulle norme che regolano l’orario di lavoro con la detassazione degli straordinari e la cancellazione dei vincoli più generali?
Se tutto va in questa direzione, servono a ben poco prevenzione e controlli. Serve, prima di chiedere altro, convincersi che il modello di oggi non produce sicurezza in primo luogo per i lavoratori, in secondo luogo per le aziende. Il Testo Unico, una nuova legislazione sul lavoro che riveda gli strumenti per stabilizzare i precari, una maggiore e più efficace contrattazione nazionale ed aziendale sono elementi che, se introdotti o rivisti a seconda dei casi, potrebbero convincerci che anche le imprese sono disposte ad affrontare davvero il problema della sicurezza. Oggi purtroppo tutto questo è richiesto da una parte sola.

*Segretario generale Fiom Bergamo