Morales sfida Bush sulla coca e sul gas

«La festa è finita», ora a lavorare per farsi trovare pronti il 22 gennaio quando il primo presidente indio doc della Bolivia e dell’America latina riceverà le insegne del comando. Quelle parole di Evo Morales, nella conferenza stampa di ieri mattina qui a La Paz, si riferivano ai festeggiamenti successivi alla straordinaria vittoria di domenica – modesti per la verità, qui non siamo in Brasile e gli indios andini sono duri sia nel resistere sia nell’esternare la loro gioia. Ma quelle parole potrebbero anche avere un altro senso e indicare che è la festa di lorsignori, una festa che dura come minimo ininterrottamente dai 180 anni dell’indipendenza, a essere finita. Se, come ha detto lunedì a Cochabamba e ripetuto ieri mattina a La Paz rispondendo alla domanda di un giornalista spagnolo, «el señor Evo» («nessun señor, compañero Evo», l’ha interrotto lui) attuerà «alla lettera» il programma con cui è stato catapultato al governo nel voto di domenica scorsa, se ne vedranno delle belle. Primi fra tutti il gas e la coca, i due nodi più spinosi che il presidente Evo si troverà di fronte fra meno di un mese quando si trasferirà al Palacio Quemado. Soprattutto di gas e di coca, con qualche appendice sugli Stati uniti di Bush, si è parlato nell’ora in cui Morales, con al fianco «el compañero dottor» García Linera, il suo vice, ha risposto alle domande dei giornalisti. Libererà le colture della coca? «Noi del Mas siamo stati partoriti dalla foglia di coca e dalle lotte per la terra», come dire che la coca (nel senso di foglia) è la madre dei boliviani e «depenalizzarla vuol dire prima di tutto costringere l’Organizzazione mondiale della sanità e l’Onu a cancellarla dalla lista dei veleni», perché la coca (nel senso di foglia) «non è un veleno, non è cocaina e i cocaleros non sono dei cocainomani né dei narco-trafficanti».

Si annuncia burrasca con gli americani che hanno fatto della «guerra alla coca» una delle tante con cui stanno portando democrazia e liberà nel mondo esterno… «Come? La Coca cola sì e la foglia di coca no? Io sfido il governo nord-americano su un programma serio: cocaina zero e narco-traffico zero, che non vuol dire cocalero zero. Comincino a perseguire davvero il riciclaggio del narco-dollari nelle loro banche. Il narco-traffico è un pretesto per tenere sotto controllo politico e aprire basi militari nei paesi dell’America latina». Sulla coca lui ha altre idee. «La lotta mirata al narco-traffico» e «l’industrializzazione della foglia di coca, ad esempio per usi medicinali».

Non sarà facile convincere gli americani, che hanno preso male la sua vittoria, per quanto democraticissima. La signora Rice non si è congratulata con lui ma con «il popolo boliviano» e «dice che bisognerà vedere se governerà democaticamente». Eppure «se loro sono democratici dovrebbero scommettere sui cambi democratici della Bolivia e sulla sua rivoluzione democratica». Lui e il movimento indigeno «sono sempre per il dialogo e la diplomazia, ma sono finiti i tempi della sottomissione e della subordinazione». Auguri. Poi il gas, se possibile un nodo ancor più spinoso. Rinazionalizzerà? «Priviligeremo il diritto alla proprietà. Il nostro diritto di proprietà come stato» sul diritto di proprietà della compagnie transnazionali. Ma «questo non significa che esproprieremo né confischeremo i loro beni». Se le grandi compagnie, una ventina, «si adatteranno al rispetto delle leggi boliviane sono le benvenute, ma come soci non come padroni». Puzza di gas. Perché questo vuol dire non solo la riacquisizione del diritto di proprietà «a boca de pozo», ossia non solo dei giacimenti sotto terra ma anche al momento in cui il gas viene portato in superficie.

Vuol dire che i 71 contratti firmati negli anni d’oro di Sánchez de Lozada, un regalo miliardario chiamato Ley de Hidrocarburos non sono più validi: «sono illegali e incostituzionali», e dovranno essere ridiscussi e rifirmati dopo il controverso referendum indetto nel luglio 2004 dall’allora presidente Carlos Mesa (che aveva rilevato «el gringo» Sánchez dopo i morti e la fuga a Miami) e dopo la nuova Legge sugli idrocarburi approvata dal Congresso nel marzo scorso, tre mesi prima che anche Mesa dovesse gettare la spugna e dimettersi di fronte alla pressione popolare. La nuova legge che esigeva la rinazionalizzazione del gas fu chiamata la Ley Evo, perché era stato Morales a volerla (e questo gli era costato le critiche dei settori più radicali del movimento popolare-indigeno).

Quei contratti vanno rifirmati e le compagnie si devono rassegnare. Tanto i profitti resteranno sempre colossali, sia quelli legali sia quelli illegali. Evo cita il caso ma non i nomi di due di quelle compagnie (ce ne sarebbero altre) che si sono dedicate per anni alla vecchia pratica del «contrabbando».

I nomi sono la Repsol, gigante petrolifero spagnolo (che infatti alla conferma della vittoria di Evo ha visto il suo titolo perdere il 2.3% alla Borsa di Madrid), e la sua filiale Repsol Argentina. La pratica era di estrarre gas a costo x, venderlo a prezzo più basso di quello di mercato alla filiale argentina che lo rivendeva a un prezzo moltiplicato per tre … alla Bolivia. Difatti qui, nel paese che possiede l’1% delle riserve mondiali del gas, non c’è gas, perché costa troppo. Pare che lo stesso giochino lo pratichi la Petrobras, la compagnia brasiliana. Una brutto rospo, perché questa volta non sono gli americani i cattivoni, ma gli amici Argentina e Brasile. Kirchner e Lula, che sono stati anche più veloci di Chavez a telefonare Evo per congratularsi.