La Bolivia, il paese più povero dell’America del sud, il «paese che non esiste» come decretò la regina Vittoria, ha dato una sonante prova di essere all’avanguardia sulla strada di quanti cercano faticosamente non solo di opporsi ma di costruire un mondo che non sia solo saccheggio, profitto, supremazia economica e sopraffazione etnica. Che non sia solo, come ha detto a caldo il nuovo presidente boliviano, neo-liberismo e neo-colonialismo.
Con la «guerra dell’acqua» del 2000 e con la «guerra del gas» nel 2003, la Bolivia «lontana e sola» aveva già mostrato il potere di fuoco della «intifada india» e della sua capacità di resistere all’avidità del mercato, che esige di privatizzare e fare soldi appropriandosi delle risorse comuni dell’umanità, e di ribellarsi al saccheggio, mascherato dietro le «eterne» leggi economiche, delle fortune naturali di cui così spesso sono ricchi i paesi poveri.
Ora, con il trionfo di Evo Morales, ha mostrato non solo la capacità di resistere e ribellarsi ma anche di proporre. Qualunque cosa accada d’ora in avanti, un nuovo ciclo si è aperto. Per la Bolivia, per l’America latina e, sia detto senza troppa prosopopea, per il mondo.Contro i sondaggi truccati e contro i miserabili tentativi di frode dell’ultima ora, Evo Morales non ha avuto bisogno di aspettare che fosse il parlamento a nominarlo e ha vinto subito, e a valanga, le elezioni di domenica scorsa. L’indio cocalero è il nuovo presidente della repubblica e il 22 gennaio riceverà la fascia e il bastone del comando che lo insedierà per i prossimi cinque anni al Palacio Quemado di La Paz. Tutti i diversi sondaggi della vigilia davano Evo e Tuto a contatto di gomito, con il leader del Mas in testa ma tallonato dal candidato dell’oligarchia criolla e dell’ambasciata americana, 5 o al massimo 8 punti dietro. Escludendo quindi che la soglia del 50% dei voti più uno potesse essere toccata e lasciando al nuovo parlamento il compito di nominare il presidente, con aperti tutti i possibili giochi. Invece mano a mano che passavano le ore quei 5-8 punti di vantaggio diventavano 10, 12, 15, 20. Ma soprattutto la fatidica soglia del 50% sembrava sempre più ineluttabile. Verso le 9 di sera di qui la corsa era finita e il risultato clamoroso: 51% per Evo, 31% per Tuto. Lontanissimi gli altri: 8% per il terzo incomodo di centro, l’imprenditore Samuel Doria Medina; 7% per il Fujimori locale Michiaki Nagatani, candidato dell’Mnr, il Movimiento nacionalista revolucionario che fu il partito di Sánchez de Lozada (profugo a Miami); meno del 2% per Felipe Quispe, il «Condor» aymara perdutosi nella rivalità con Evo insieme al suo Mip, il Movimiento indígena Pachakutik; zero e qualcosa per cento per gli altri tre candidati. La polarizzazione fra sinistra india e destra neo-liberista ha tagliato quasi ogni spazio residuo. E lo scuro Evo ha fatto nero il bianco Tuto.
Poco prima delle 10 di sera, nella sede dei cocaleros di Cochabamba, Morales ha pronunciato le prime parole da presidente in pectore. «Compañeros indigeni, per la prima volta abbiamo vinto, siamo presidente». Era emozionato ma le cose che aveva da dire le ha dette tutte. «Comincia la nuova storia della Bolivia con eguaglianza e giustizia»; basta con «la discriminazione e la xenofobia» – e voleva dire la xenofobia contro quel 70% di indigeni di cui è costituita la popolazione boliviana -; fine del «modello neo-liberista» e dello «stato coloniale»; una mano agli imprenditori impauriti, perché quelli «che producono e investono in Bolivia» non hanno nulla da temere, e alla élite bianca da sempre detentrice di tutti i poteri, perché «il movimento indigeno non è escludente» (al contrario di voi, poteva aggiungere), ma attenti perché il governo popolare garantirà la governabilità basandosi su tre pilastri «il parlamento, la piazza e i rapporti con i paesi amici» e perché «non siamo soli» («mi hanno già chiamato due presidenti latino-americani per congratularsi»: indovinare chi erano); «Il terzo millennio è il tempo dei popoli originari e non dell’impero e del suo modello economico».
Non sarà facile. Né dentro né fuori la Bolivia.
Dentro l’oligarchia bianca ha fatto di tutto per demonizzare Morales e impedire l’ascesa del Mas, giocando sporco. Non era solo Tuto Quiroga a definire Evo «un narco-tafficante e un terrorista». A parte il trucco dei sondaggi, diretto in tutta evidenza a influenzare il voto, c’è stato un vero e proprio tentativo di frode più o meno legale per impedire a un gran numero di elettori di votare, soprattutto quelli dell’altipiano e quindi presumibilmenti elettori di Evo. Il pretesto è stata la «depurazione» massiccia e silenziosa delle liste elettorali, di cui un’infinità di elettori si sono resi conto solo al momento di recarsi al seggio. Depurazione a norma di una legge che prevede la cancellazione dalle liste di chi non ha votato nelle muncipali del 2004. Nessun trucco, ha provato a difendersi il tal dirigente del Consiglio nazionale elettorale, l’abbiamo detto pubblicamente e annunciato sui giornali. Ma chi legge i giornali fra i campesinos dell’altipiano? «Abbiamo vinto anche con l’arbitro contro», ha detto Morales. In ogni caso su un elettorato di 3.6 milioni domenica fra 800 mila e un milione di persone non hanno potuto votare. Ma non è bastato.
Un altro fattore che renderà difficile onorare gli impegni è che la Bolivia, come si prevedeva, è uscita spaccata dal voto. Anche nelle elezioni per il Congresso e in quelle – le prime – per i governatori dei 9 dipartimenti, il fattore Evo e la volontà di cambio si sono fatti sentire. Il senato di 27 membri doveva essere quasi tutto per Tuto invece Podemos, il suo partito, avrà 13 seggi ma 12 o 13 saranno per il Mas. La Camera di 130 membri doveva essere a maggioranza per Tuto e invece il Mas avrà 53 deputati e Podemos 48. I governatori dovevano essere tutti anti-Evo e invece almeno due – Oruro e Potosí – sono del Mas. Un quadro complicato e pieno di incognite, perché a Santa Cruz e Tarija, i dipartimenti ricchi e gassosi dell’oriente, hanno stravinto i candidati per un’autonomia che potrebbe diventare secessione, e anche a La Paz e Cochabamba, dove Morales ha avuto più del 60% dei voti, i governatori saranno all’opposizione. La Bolivia occidentale andina da un lato è tutta per Evo, la Bolivia orientale bianca è in larga misura contro Evo. Oltre ai fattori interni ci sono quelli esterni. Gli Stati uniti in sostanza, che non promettono niente di buono. In attesa di prese di posizioni ufficiali, ci ha già pensato Otto Reich, il cubano-americano che curava l’America latina nel primo mandato di Bush. Intervistato a caldo ha consigliato a Evo Morales di ricordare che «la Bolivia non può vivere senza il mondo» – cioè gli Usa -, ma «il mondo può benissimo vivere senza la Bolivia». Un gran giorno per la Bolivia e non solo.
Ma il presidente Evo avrà bisogno di tutti i santi in terra (Chávez, Lula, Kirchner e Fidel…) e nel cielo della cosmogonia quechua-ayamara.