Morales corona il sogno di una giornata di mezza estate australe

Per la prima volta nella storia del Paese, il Presidente della Repubblica non è un bianco e sarà eletto con oltre il 50% dei voti scrutinati. Così dicono i dati non ufficiali della notte, così dice la gente nelle piazze. La nomina ufficiale del sindacalista aymara Evo Moralers sarà fatta il prossimo 19 gennaio 2005.

“E’ una rivoluzione storica, ed ha la grande differenza di essere democratica e di essere avvenuta solo grazie al voto popolare. Più che un’elezione è un plebiscito che ha dato al Mas una vittoria irrefutabile e inappellabile: la Bolivia intera ha votato per il cambio ed ha segnato il simbolo del cambio democratico”. Queste le parole di Alvaro García Linera, il virtuale vicepresidente del paese, che commentano perfettamente l’elezione – ripetiamo, ancora non ufficiale – di Evo Morales come Presidente della Repubblica Boliviana per il prossimo quinquennio. Un fatto straordinario, unico, sia perchè per la prima volta entra a Palacio Quemado da presidente un indios aymara, per giunta ex leader della federazione sindacale dei lavoratori cocaleros, sia perchè il fatto di aver avuto oltre il 50% delle preferenze nelle urne gli consegna il paese senza dover passare da tre settimane di accordi e trattative pur di raggiungere la maggioranza con questo o con quel partito.
Adesso le tre settimane serviranno per formare il Governo (sempre ieri sono stati eletti gli oltre 150 tra deputati e senatori) e per mettere al loro posto i nuovi prefetti dei nove dipartimenti: stime non ufficiali parlano di 4 prefetture a Podemos di Quiroga, 3 al Mas di Morales e 2 ad altri candidati.
“Il mio primo pensiero questa mattina è stata per i miei genitori (Dionisio Morales e María Ayma, morti negli anni Ottanta) per la Pachamama e per la possibilità di cambiare la storia della Bolivia. Questa è l’ora degli offesi, dei massacrati, di chi è rimasto nascosto per 180 anni di storia boliviana”, ha dichiarato il Presidente Morales subito dopo aver votato.

Cronaca di una strana giornata

Una città irriconoscibile, così si presenta La Paz nella giornata più importante della sua recente storia di Repubblica. Nessuna traccia del traffico assordante, delle miriadi di indigene cholitas affaccendate tra le loro mercanzie, della gente variopinta che cammina convulsa, dei pulmini collettivi “trufis” che sbraitano su tutte le possibili direzioni. La vita frenetica della capitale più alta del mondo pare inghiottita da una calma atipica. Tutto resta fermo con il fiato sospeso, aspettando le 6 del pomeriggio, aspettando i primi risultati, aspettando le proiezioni commissionate dai media di comunicazione. I dati ufficiali, quelli contati dalla CNE, la Corte Nazionale Elettorale, non arriveranno prima del 13 gennaio. Intanto il super favorito, Evo Morales, il leader cocalero del Movimiento al Socialismo, il MAS, il temutisismo “narcocandidato”, così definito dall’ambasciata statunitense, non è ben visto nemmeno dalla borghesia medio-alta, che se la fa sotto nell’ipotesi che un serio ricambio politico nel governo (che, si badi bene, non significa per forza “cambiamento”) vada a colpire direttamente i loro interessi. Addirittura i segni di tale “spaventoso” cambiamento si sono materializzati nella ricca zona sud di La Paz, dove sono apparse scritte sui muri che promettono: “Se vince ‘el Evo’, questa casa diveterà uno spazio sociale”.

Gli “autoeliminati” dalle elezioni
Molte delle persone che si sono recate a votare si sono viste impedire l’accesso ai seggi. Non avevano più il diritto al voto, dicono gli scrutatori, perché non hanno votato alle elezioni municipali dello scorso anno. Così, come fosse il gioco dell’oca, si ritrovano a dover saltare il turno. In teoria, dovrebbero tornare ad effettuare l’iscrizione, operazione che per queste elezioni si è conclusa parecchi giorni fa. Strano, ma da queste parti può capitare. E capita anche, sempre dalle voci che stiamo raccogliendo in quel di La Paz, che molta gente che ha l’iscrisione in regola, gente quindi che ha votato regolarmente alle municipali del 2004, una volta giunta al seggio non si ritrovi nelle liste elettorali. Le lamentele, con il trascorrere delle ore, si sono trasformate in lunghe code davanti agli uffici elettorali dipartimentali. La Corte è dovuta intervenire, spiegando che molto probabilmente si tratta di un banale guasto informatico (vista la complessità di queste elezioni, il governo ha inaugurato un nuovo sistema computerizzato chiamato SiReNa) e che tutti coloro che hanno davvero diritto al voto (putroppo nelle zone di Pando, Beni, Oruro e Potosì la grande maggioranza di questi “eliminati” non ha effettivamente votato per le municipali del 2004) hanno fino al prossimo 18 gennaio per “risolvere il problema”. Un problema che, a livello nazionale, nelle prime ore della serata di ieri aveva raggiunto la cifra di 900.000 elettori cancellati. Volete vedere che, come i morti del 2003 si sono “autoeliminati” (secondo le affermazioni del capo dell’esercito boliviano), anche in questo caso si dovrà parlare di autoeliminazione di elettori?

Tre settimane di attesa.
La CNE terminerà lo spoglio ufficiale tra il giorno 13 e il 16 di gennaio: solo allora verranno resi noti i nomi, oltre che del presidente, a questo punto con l’insediamento ufficiale, anche dei 130 deputati e dei 27 senatori che formeranno il Congresso e dei 9 prefetti.
Ma già da oggi Morales è l’uomo che ha battuto la “concorrenza” con il 50%+1 dei voti. A questo punto speriamo che Morales si ricordi che vincere le elezioni politiche ed essere presidente non è automatico. Ci sono le richieste della gente che vuole, con tutta la forza possibile, che inizi presto il cambiamento.

L’ultimatum a prescindere
Gli aymara dell’altipiano hanno dato un ultimatum (proprio così, un ultimatum “a prescindere”) di 90 giorni: chiunque si aggiudichi quella poltrona avrà solo 90 giorni per cominciare il processo di nazionalizzazione delle risorse naturali.
Vincendo Morales questa richiesta, così pare, dovrà subire qualche accomodamento: Evo Morales intende, così come ha dichiarato nei salotti bene della politica internazionale, aumentare la tassazione per l’esportazione degli idrocarburi fino al 50% (contro il 18% chiesto oggi) e il pagamento delle royalties per l’estrazione di risorse non ripristinabili al 22%, cosi da ottenere dalle multinazionali esportatrici come Repsol e Petrolbras il 72% di imposte sul prodotto grezzo estratto.
La gente, però, quella gente che ancora a mezzogiorno disertava la città, vuole altro. Questa gente, quella stessa che mandato all’aria i contratti di rifornimento idrico firmati con la Bechtel a Cochabamba e con la Suez a El Alto (rispettivamente sotto il nome di Aguas del Tunari e Aguas del Illimani) chiede che queste multinazionali lascino il paese, che il petrolio e il gas metano conservati sotto la terra boliviana vengano estratti e lavorati e industrializzati sotto la bandiera rossa-giallo-verde della Bolivia, unica via d’uscita dall’estrema povertà in cui vive.
I movimenti sociali e la gente comune non hanno davvero più nulla da perdere. Se Morales non adegua la sua politica a queste aspettative, sono pronti a mettere nuovamente le città a ferro e fuoco.