Montezemolo vuole il più possibile: «Almeno i due terzi della riduzione del cuneo fiscale devono andare alle imprese, e il taglio deve essere generalizzato», ha detto chiaro, ieri, nella relazione all’assemblea di Assolombarda. Un vero e proprio attacco in grande stile ai diritti del lavoro, poiché, in aggiunta, il capo degli industriali è tornato a chiedere «flessibilità negli orari»: la concertazione che il governo si dispone a fare – è stato il messaggio generale del suo discorso – deve premiare l’impresa, altrimenti l’Italia perderà il treno della ripresa; i sindacati si devono decidere, si siedano al tavolo e accettino una nuova logica delle relazioni industriali, «meno conflittuale e più collaborativa». Bisogna ancorare maggiormente i salari alla produttività, e non si deve toccare la legge 30: va solo integrata con gli ammortizzatori sociali. Sì alla manovra-bis, «da realizzare già nelle prossime settimane», tagliando la spesa corrente per non penalizzare la ripresa. E basta con la logica dell’Irap, perché è «anomalo che le imprese paghino la sanità di tutti i cittadini». Intanto il viceministro all’economia, Roberto Pinza, ieri annunciava che la manovra-bis potrebbe arrivare a 10-11 miliardi di euro: e dovrebbe toccare la sanità e il pubblico impiego. Anchese il ministro allo sviluppo economico Pierluigi Bersani frenava: «Non c’è un’entità precisa, per ora: dicuteremo modi e forme del taglio del cuneo con le parti sociali». Il ministro del lavoro Cesare Damiano, dal canto suo ribadiva che il taglio del cuneo deve essere «selettivo, verso il lavoro a tempo indeterminato», e che parte di esso verrà investito su «un incremento leggero e progressivo dei contributi dei cocoprò».
Luca di Montezemolo, da Milano, indicava dove reperire risorse: il governo guardi nel campo del commercio e delle partite Iva, perché «oltre il 40% degli autonomi dichiara addirittura redditi pari alla metà della retribuzione di un metalmeccanico». E ce n’è anche per il settore pubblico: «I salari dei dipendenti pubblici sono cresciuti più del 30%, ben oltre il 13 scarso dei privati; le spese di province e comuni sono aumentate di oltre il 30%. Il settore pubblico ha prelevato risorse dalle imprese per distribuirle in salari e altra spesa pubblica». Sul cuneo è deciso, e non accetta le uscite delle controparti: «Il sindacato ha chiesto che una parte del beneficio vada ai lavoratori, noi diciamo con chiarezza che il beneficio deve andare in larga misura alle imprese: non meno dei due terzi indicati di recente da autorevoli esponenti del governo».
Montezemolo inserisce la richiesta sul cuneo nel capitoletto della sua relazione intitolato «Cosa vuol dire concertazione», e inizia lo stesso riferendosi al «metodo Ciampi del 1993», (quando i sindacati accettarono la moderazione salariale), «che consentì di uscire da una profonda crisi finanziaria e di avviare la ripresa senza inflazione»: se due più due fa quattro, insomma, Confindustria chiede di tradurre la parola «concertazione» con nuovi sacrifici dei lavoratori per beneficiare le imprese. E infatti, sempre nel capitoletto chiave, spiega che «l’industria ha bisogno anche di una maggiore flessibilità delle retribuzioni di fatto e di un adattamento della forza lavoro al rapido mutamento dei mercati e delle tecnologie». Quest’ultimo punto vuol dire «flessibilità», e viene spiegato meglio in un altro capitoletto, dal titolo «Essere flessibili»: «Significa adottare anche nei nostri contratti soluzioni di flessibilità degli orari che possano essere utilizzate da tutte le imprese senza ulteriori negoziazioni, scambi e confronti, evitando quindi il carico della conflittualità che questi passaggi troppo spesso comportano».
Montezemolo, insomma, torna a riproporre quanto respinto dall’ultimo contratto dei metalmeccanici: ottenere nei contratti nazionali la possibilità di comandare ai dipendenti un rapido cambio di orario, secondo le richieste di mercato, senza «perdere tempo» con le Rsu.
Differenti le idee espresse dal leader Cgil Guglielmo Epifani: «Il governo sistemi i conti, ma i tagli siano essere selettivi e non blocchino i contratti pubblici». La Cgil suggerisce di cominciare a risparmiare tagliando le oltre 140 mila consulenze retribuite con diversi zeri nel settore pubblico. Epifani dice che «bisognerebbe far pagare di più la rendita, le grandi ricchezze».
Anche il leader della Cisl Raffaele Bonanni boccia il blocco dei pubblici: «Se il governo non farà una vera concertazione, il sindacato avrà mani libere». E il taglio del cuneo «sia selettivo, indirizzato al tempo indeterminato e alle categorie deboli, senza intaccare i contributi».