Non è stata solo la questione dell’alta affluenza alle urne, arrivata incredibilmente quasi all’81%, per il magro risultato del presidente Milo Djukanovic.
Non hanno funzionato troppe cose. A dire no all’indipendenza tanto caldeggiata dal presidente montenegrino c’erano davanti agli occhi degli elettori anche i risultati della sua gestione economica. E le troppe, incomprensibili, promesse di “privatizzazioni” – riprese in campagna elettorale e ingigantite dagli “alleati” indipendentisti più nazionalisti e più anti-Federazione, che si scontravano con il disastro dell’ultimo provvedimento preso in tutta fretta contro Belgrado: l’introduzione del marco e l’eliminazione della divisa jugoslava, il “dinaro”, che intanto sosteneva, avrebbe dovuto sostenere le economie serbe e montenegrine. Quella “valuta unica” ha di fatto bloccato i residui, ma necessari, rapporti economici con la Federazione jugoslava dalla quale il piccolo paese adriatico-balcanico comprava ogni manufatto e tutti i prodotti alimentari.
L’impoverimento era continuato nel paese – il salario medio mensile è quasi eguale a quello di Belgrado, 200mila lire mensili – proprio negli stessi anni della crescita dell’arricchimento e della corruzione della leadership al potere, fondata sui traffici d’ogni tipo a partire dal contrabbando ormai penalizzato anche a livello occidentale da provvedimenti di polizia e denunce della magistratura che, è bene ricordarlo, hanno spesso coinvolto uomini vicino a Djukanovic, a partire dai responsabili della polizia e fino ai ministri più potenti, prontamenti dimessi e sostituiti da uomini spesso più corrotti. Un aggravio di costi su una struttura statale inesistente sulla quale gravava ormai il peso di organismi pericolosi e di propaganda, ma costosissimi, come l’armatissima polizia autonoma, di fatto l’esercito montenegrino in nuce, costato montagne di miliardi.
Intanto è scomparso – grazie a 10 anni di guerre balcaniche – il turismo, la fonte principale dell’economia del paese nell’epoca della pace, con le presenze diventate poche decine di migliaia, mentre alla fine degli anni Ottanta erano centinaia di migliaia. Il bilancio del 2001 è stato fissato a circa 450miliardi di lire; il deficit ammontava a 150 miliardi di lire, il debito estero – pesante con Belgrado, ma in questa delicatissima fase mai richiesto – arriva a 305 milioni di dollari (il 40% del Pil, che è di 1.500 miliardi di lire).