La Moldova, piccolo paese dell’Europa orientale, il più povero del continente, governato dai comunisti dal 2001, generalmente ignorato dai commentatori di casa nostra, è riapparso nelle pagine internazionali dei principali quotidiani (anche “Liberazione”, bontà sua, pare essersi accorta che esiste un paese europeo governato dai comunisti), dopo le elezioni legislative svoltesi domenica 6 marzo.
Il dato più rilevante, che emerge dal risultato elettorale, è la riconferma, pur in presenza di una leggera flessione, del primato del Partito dei Comunisti della Repubblica di Moldova (PCRM) che conquista oltre il 46% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento (56), che però non consente di disporre di quei due terzi dei mandati necessari ad eleggere il presidente della repubblica.
Delle oltre 20 liste di opposizione o candidature individuali, solo due sono riuscite a superare lo sbarramento del 6% previsto dalla legge elettorale: il Blocco “Moldova Democratica”, capeggiato dal sindaco di Kishinev Serafim Urechian, che, a dispetto di un programma elettorale che prevede l’adesione alla NATO e dei suoi legami con gli “arancioni” ucraini, ha operato una svolta in senso filo-russo, non esitando a richiedere il sostegno di Mosca alla sua campagna elettorale, nella speranza di poter contare sul voto di parte della consistente minoranza russa; il Partito Popolare Cristiano Democratico di Jurie Roska, nazionalista romeno e fautore dell’ingresso della Moldova nella NATO, protagonista, in questi anni, di vari tentativi di sedizione contro il governo comunista.
Entrambi i partiti, che non hanno mancato di denunciare “brogli”, hanno ribadito una posizione di dura battaglia nel parlamento e nel paese.
Tra i blocchi esclusi, l’unico che ha ottenuto un risultato di un certo significato (5%) è stato quello denominato “Patria”, formato da due “partiti socialisti”, di orientamento filo-russo, che criticano “da sinistra” il governo monocolore comunista.
I comunisti moldavi, contro i quali, poche settimane fa da Bratislava, lo stesso presidente Bush aveva invitato alla sollevazione, sull’esempio della “rivoluzione arancione” di Kiev, hanno ritenuto, per iniziativa dello stesso presidente della repubblica e segretario del partito Vladimir Voronin, di operare negli ultimi tempi una svolta radicale (in particolare, di chiusura alle posizioni russe sulla questione della provincia “secessionista” della Transdnistria) in senso, come ha definito qualcuno, “europeo”, rispetto agli originali orientamenti filo-russi (che, peraltro, ne avevano garantito la vittoria nel 2001).
Tale spregiudicato atteggiamento, se da un lato ha provocato l’irritata reazione di Mosca e delle forze politiche russe (esclusi i comunisti), dall’altro ha certamente spuntato le armi di coloro che, all’interno del paese e in Occidente, si accingevano ad organizzare la cosiddetta “rivoluzione del vino”, sull’esempio di Kiev e Tbilisi.
Ora, dopo la conferma ricevuta dall’elettorato, che, va precisato, ha voluto soprattutto premiare le scelte economico-sociali dei comunisti, tese a favorire la ripresa produttiva del paese dissanguato da dissennate politiche liberiste e a varare misure sociali in difesa degli strati meno privilegiati della popolazione, il tempo dirà se la recente svolta dei comunisti moldavi rappresenta una scelta strategica, di aperta rottura con lo “spazio ex sovietico”, o solamente uno spregiudicato espediente tattico, per consolidare l’attuale “establishment” e legittimarlo di fronte alla “comunità internazionale”.
C’è da dire che gli stessi analisti russi, che pure si sono espressi con severità rispetto alle più recenti prese di posizione del leader comunista moldavo, all’indomani del voto, sembrano ridimensionare gli elementi di frizione tra i due paesi, lasciando intendere che il pragmatico leader moldavo saprà sicuramente riconoscere la fondamentale importanza di un rapporto privilegiato con la Russia (la Moldova dipende esclusivamente dalla Russia sul piano delle forniture energetiche), riallacciando i fili di una collaborazione che ha consentito in larga parte la relativa ripresa economica del paese.
Scrive, ad esempio, Serghey Antufyev, vice-presidente della commissione della Duma russa per gli affari della CSI, mettendo in rilievo come, di fatto, in Moldova si sia scongiurata la “rivoluzione arancione”, che “la retorica antirussa, espressa da Voronin dopo la sua elezione, si sgonfierà”. “Ritengo”,- afferma Antufyev – che la prima visita di Voronin sarà a Mosca, dove sicuramente si affretterà a dire che i suoi atteggiamenti non sono stati compresi correttamente” (http://www.rian.ru, 7 marzo 2005).
E in effetti, la prima dichiarazione post-elettorale di Voronin, sui temi della politica estera, sembra, in verità – pur nella conferma della volontà di integrazione nell’UE, come scelta obbligata per la piccola e povera Moldova – rilanciare il dialogo con la Russia, invitata nuovamente a prendere parte attiva nel processo di regolamento della questione della Transdnistria.
Dopo avere rilevato che, con la propria vittoria, i comunisti “non hanno permesso che passasse la controrivoluzione che alcuni si auguravano”, Voronin afferma che “noi non abbiamo alcuna intenzione di contrapporre la nostra politica interna ed estera alla grande Russia” (http://www.strana.ru, 7 marzo 2005), annunciando la sua intenzione di recarsi al più presto a Mosca, se invitato dalle autorità russe.
Lo stesso programma elettorale del PCRM, del resto, ribadiva nettamente la scelta della “partnership strategica” con la Russia e del rilancio, su basi dinamiche, della collaborazione nell’ambito della CSI, nonché la scelta di neutralità della Moldova di fronte alle richieste pressanti di adesione alla NATO.