Sull’attenti davanti al tricolore, la mattina del 19 aprile, nell’atrio della caserma Piave di Orvieto, Mohamed Jelloul, 26 anni, nato in Libia ma di cittadinanza marocchina, giurò fedeltà alla repubblica italiana. Era alla fine dei suoi 40 giorni di Car e il giorno do-
po sarebbe stato trasferito nel Reggimento dei lancieri di Montebello per essere congedato il 10 gennaio del 2000. Quasi sette anni dopo lo stesso Stato per il quale ha prestato il servizio militare lo vuole espellere perchè «clandestino, non in regola con il permesso di soggiorno»: entro domenica Mohamed dovrà lasciare l’Italia, a meno che il prefetto di Ragusa, allertato dal suo legale, non decida di sospendere in autotutela il provvedimento di espulsione.
Dall’applicazione della legge sull’immigrazione clandestina salta fuori questa storia pirandelliana. Dal 1994 Mohamed vive a Ragusa, con il padre, la madre e due fratelli: da 12 anni è perfettamente integrato al punto che una mattina, a casa sua, arrivò persino il cartolino di precetto militare. Racconta il giovane marocchino: «Al mio arrivo a Ragusa ho frequentato l’istituto salesiano e poi mi sono diplomato nella scuola professionale come tornitore. Nel 1998 ho ricevuto la cartolina per la visita militare. Il 9 marzo del 1999 sono partito per la leva, destinazione Orvieto. Dopo il Car divento autista militare conseguendo la patente, sono benvoluto dai commilitoni e dai superiori». Numero di matricola 018800014713, Mohamed viene congedato l’anno successivo e il foglio di congedo regolarmente trasmesso al comune di Ragusa. Dove è iniziato questo incredibile equivoco. Una sera di ottobre Mahomed viene fermato ad un posto di blocco. Lo trovano con il permesso di soggiorno scaduto, lui lo aveva rinnovato di anno in anno in attesa della cittadinanza italiana che aveva chiesto ma che gli era stata rifiutata. L’ultimo rinnovo, però, non l’ha potuto ottenere: occorreva un posto di lavoro stabile, e Mohamed non era riuscito ancora ad averlo. Dice l’avvocato Maria Grazia Crescione, che lo assiste: «È un caso senza precedenti: in mia presenza il prefetto ha telefonato all’ufficio leva del Comune per chiedere chiarimenti e il nome di Jelloul non figura nelle liste. Evidentemente fu chiamato per errore, in quanto il suo nome fu prelevato dall’anagrafe piuttosto che dalle liste elettorali come l’ufficio avrebbe dovuto fare. Ora però bisogna correre ai ripari».
Nel caso di Mohamed, però, sul documento di riconoscimento – come assicura lo stesso immigrato – c’era scritto che il possessore aveva la cittadinanza marocchina. «A questo punto – commenta l’avvocato Criscione – si deduce che siano stati commessi due errori: il Comune di Ragusa ha preso i nomi dei ragazzi da segnalare alla Leva dalle liste elettorali anzichè da quelle dell’anagrafe; l’esercito, nel controllare la carta di identità di Mohamed, non si è accorto della cittadinanza». Ora il giovane marocchino è preoccupato: «Non posso tornare in Libia o in Marocco – dice – lì non ho più nessuno e non saprei che fare. Le mie radici sono qui». Il padre del ragazzo, 45 anni, carrozziere, non ha ottenuto la cittadinanza. Nessuno dei familiari è cittadino italiano. I fratelli, di 23 e 18 anni, sono uno muratore, l’altro studente. L’unico senza permesso di soggiorno, però, è Mohamed. Ora la sua sorte è nelle mani del prefetto di Ragusa, Marcello Ciliberti. Ma le speranze di restare sono buone: «Il prefetto ha preso a cuore il caso – afferma il legale – e sono convinta che ci siano ottime possibilità che possa accogliere la mia richiesta motivata di sospensione del decreto in autotutela».