“L’Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla”. Così scriveva Pier Paolo Pasolini negli anni ’70. A ben guardare le cose oggi non stanno più così. Anche nel nostro paese viene alla luce l’influenza che la strategia culturale o metapolitica della Nouvelle Droite di Alain de Benoist ha esercitato nell’Europa dell’ultimo decennio sulle famiglie delle destre attuali. E questo è evidente sia nelle nuove e diverse forme, sia attraverso punti di vista in stretta relazione con le trasformazioni sociali, culturali, istituzionali in epoca di globalizzazione che la realtà delle destre europee ha assunto a partire dal contesto culturale in cui esse operano. Una novità dunque che chiarisce pericoli e posta in gioco del voto di domenica. Ma che va anche al di là del risultato elettorale. Innanzitutto perché la storia di Alain de Benoist e del Grece (Gruppo di ricerca e di studi per la civilizzazione europea), in una parola il laboratorio intellettuale della Nouvelle droite, fondato nel ’68 dallo stesso de Benoist (noto per la teoria più recente e aggiornata delle razze, il differenzialismo razzista o razzismo anti-immigrati) affonda le sue radici nella impresa nazista della creazione di un nuovo ordine europeo e in una pagina della decolonizzazione tra le più dolorose e dense di conseguenze sociali, politiche e istituzionali: la guerra di Algeria e la crisi della Quarta repubblica. L’anticomunista radicale de Benoist (“Fabrice Laroche” per i nazionalisti di Europe-action) rompe con la tradizione intellettuale e politica di uno dei nazionalismi europei più reazionari, quello francese, e assume aggiorna e libera dalla lotta armata la lezione di Jean Thiriart (il teorico del nazionalismo comunitarista europeo). Forma geopolitica di resistenza contro l’americanizzazione totale del mondo, il mito dell’Impero evocato da de Benoist come unica forma di organizzazione della collettività in alternativa allo stato-nazione, non rinvia a un territorio ma a un principio, a una attitudine interiore dell’Uomo europeo. Quell’uomo nuovo che ha bisogno innanzitutto di tutela attraverso la separazione delle culture e di tutte le forme di integrazione concepite sinora all’interno delle società nazionali, ma soprattutto tramite la costruzione culturale, politica, istituzionale di una Europa federale, strutturata al suo interno dalla identità etno-culturale dei popoli, ma non dalla condivisione di diritti universali.
In secondo luogo appropriandosi indebitamente di Antonio Gramsci, e autenticamente della rivoluzione conservatrice nella Germania di Weimar di Armin Mohler, Alain de Benoist sin dagli anni ’70 si fa carico della fragilità intellettuale del mondo delle destre politiche e sceglie di agire sul livello delle idee: le elabora, e crea modelli culturali capaci di strutturare e orientare la vita quotidiana. E sin dagli anni 80, il teorico della Nouvelle droite comincia a fornire idee e principi alle culture politiche europee, a ispirare forme e programmi politici, ma soprattutto a inventare un linguaggio ambiguo insieme moderno e antimoderno, che rovescia le categorie sociali esistenti alimentando una nuova etica. Attraverso l’elaborazione del “diritto alla differenza”, la cui violazione da parte di un egualitarismo astratto alimenterebbe aggressività xenofoba e dunque razzismo, rovescia il pericolo razzismo nel pericolo immigrazione facendo superare l’onere della prova del “meticciato” che insidia l’organismo vivente alla vecchia teoria delle razze.
Le differenze socio-culturali sono per de Benoist non solo ineliminabili e senza alcuna possibilità di comunicazione, isolate dal contesto in cui operano e si producono, ma la loro naturalizzazione diviene condizione necessaria per il progresso della umanità. Le affinità e la continuità di questo pensiero con i fondamenti della tradizione razzista non sono difficili da individuare. Dall’assoluto come punto di vista non può scaturire alcuna antropologia né egualitaria, né dialogica, né relazionale. E non fa molta differenza che questo processo di assolutizzazione venga applicato a una presunta base biologica o a una base culturale. Se ambizione di de Benoist è sottrarre alla sinistra il monopolio della cultura moderna, e da più di trenta anni egli pratica il terrorismo culturale alle idee socialiste, di sinistra, liberali, bisogna prendere atto a sinistra che metapolitica, antiamericanismo radicale, Europa federale o imperiale, differenzialismo culturale fanno saltare in epoca di globalizzazione ciò che separa l’immaginario di destra da quello di sinistra, e fanno convergere punti di vista incompatibili tra loro. Forse c’è materia per riflettere, soprattutto quando un avversario intellettuale e politico come Alain de Benoist ai margini della vita pubblica francese, diventa tramite Marco Tarchi (capofila ideale della Nuova destra italiana) un intellettuale familiare a molte università. A Napoli dal 25 al 27 maggio in una iniziativa internazionale sul futuro politico dell’Europa dove c’è anche Prodi, non c’è alcun imbarazzo al’idea che ci sia anche de Benoist.