“Moderati” antiterroristi a destra, a sinistra

Un coro di elogi come si dice «bipartisan» ha accolto l’intervento con cui il ministro Pisanu ha presentato alla Camera, il 12 luglio, il nuovo «pacchetto anti-terrorismo». Un coro pressoché unanime ne ha lodato la «moderatezza», sottolineando la «saggezza» delle proposte e la pacatezza dei toni. Pochi si sono dissociati, quasi l’eccezione che conferma la regola.
Questa storia della moderatezza di Pisanu andrebbe approfondita. È vero che in questi anni la parola moderato è diventata un paradosso. «Moderati» si sono detti tutti gli inquilini della Casa della Libertà, a cominciare dall’on. Berlusconi, impegnato a tempo pieno nella guerra di Bush e nella distruzione dello Stato di diritto. «Moderati» sarebbero i camerati dell’on. Fini e persino i seguaci del senatùr, favorevoli alla proclamazione dello stato di guerra e alla castrazione chimica, al porto d’armi libero (per gli italiani doc) e alla chiusura delle frontiere «a tutti gli immigrati» per «difendere i nostri bambini». È chiaro che, messo in questi termini, il discorso non ha alcun senso. Ma chi definisce «moderato» il ministro degli Interni avrà pure in mente qualcosa. Sarebbe dunque il caso che si rileggesse certe sue dichiarazioni, anche recenti. Come quelle rilasciate al ritorno dal G5 di Parigi lo scorso maggio, quando Pisanu sostenne che la metà degli immigrati «irregolari» sono dei delinquenti fatti e finiti. D’altra parte non risulta che Pisanu si sia opposto alla legittimazione della tortura (purché non «reiterata»), né alle promozioni dei protagonisti dei pestaggi di Genova, nelle radiose giornate del luglio 2001.
Ma torniamo al «pacchetto» di misure anti-terrorismo. Si è sparsa la leggenda che si tratterebbe di provvedimenti innocui. Non è così. Ove approvate, queste norme darebbero un duro colpo alle già compromesse garanzie e libertà civili di tutti i cittadini (oltre che alla condizione dei migranti, che potrebbero venire espulsi sulla base di semplici sospetti). Provare per credere. Le misure «straordinarie» (per carità, nessuno dica «speciali») prevedono tra l’altro: l’impiego dell’esercito in funzioni di pubblica sicurezza; la possibilità di perquisire interi fabbricati; l’estensione del fermo di polizia (con interrogatori senza avvocati) da 12 a 24 ore; l’intercettazione «preventiva» di tutte le comunicazioni (e-mail, telefono, radio); il libero accesso alle banche-dati dei gestori telefonici; l’identificazione di chi compra schede telefoniche; il conferimento del valore di prova agli indizi raccolti (senza il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria) da polizia e servizi; l’ampliamento dell’insieme dei reati per i quali è richiesto l’arresto in flagranza (in virtù di un’ulteriore estensione dell’art. 270bis del codice penale).
Si potrebbe continuare, ma il quadro sembra già abbastanza chiaro. È quello di una rinnovata tendenza del nostro Paese (come di larga parte dell’Europa) a seguire l’esempio del war against terrorism combattuto da Bush a suon di leggi anticostituzionali, di sequestri di persona (anche in terra straniera), di decine di migliaia di arresti «preventivi» senza prove e senza processi. Si vuol mettere all’incasso la psicosi sicuritaria generata dall’11 settembre, come dice chiaramente il presidente della Regione Lombardia – il moderato Formigoni – che invita tutti i cittadini a denunciare senza remore «qualsiasi cosa o elemento che desti sospetti». E come dicono le retate partite subito all’indomani dell’intervento di Pisanu: nella sola Lombardia, settemila controlli, 142 arresti (83 dei quali di non italiani), 52 provvedimenti di espulsione. Sull’intero territorio nazionale, 200 perquisizioni (senza mandato) a danno di sospetti «fondamentalisti islamici», 423 controlli, 174 fermi. Inutile dire che non è stato a tutt’oggi provato alcun collegamento con episodi o gruppi terroristici.
Ma se le cose stanno così, perché questa buona accoglienza da parte di tanti esponenti dell’Unione? Perché, addirittura, l’incitamento, rivolto al ministro degli Interni, ad andare avanti senza remore lungo la strada intrapresa? L’impressione è che molti rimpiangano i tempi dell’unità nazionale e dell’emergenzialismo. Per tanti che mormorano, uno parla a chiare lettere. L’on. Franceschini, coordinatore della Margherita, ha ricordato con nostalgia le leggi speciali contro le Br «varate quasi tutte con il contributo dell’allora Pci». La sua non è una voce isolata. Lo stesso Fassino chiede che il governo «trovi le risorse per realizzare queste politiche». E l’on. Violante – ammirato della «ragionevolezza» delle proposte di Pisanu – ripete ogni giorno che i Ds sono «disponibili ad assumere tutte le misure utili e necessarie». Il che, o una inutile tautologia, o è un incoraggiamento ad andar giù pesanti.
La parola d’ordine è – come ai bei tempi delle leggi Reale e della svolta dell’Eur – responsabilità. La sindrome governista (per cui l’opposizione si comporta come se fosse già al governo) dilaga nell’Unione. E mette a nudo pulsioni conservatrici che legittimano le più serie preoccupazioni. Non solo sul terrorismo, d’altra parte. Anche sui Cpt (che potranno essere al più «ripensati», certo non chiusi). Anche sulla guerra. L’ultimo episodio – il «lodo Prodi» che ha di fatto archiviato la richiesta del ritiro dei nostri soldati dall’Iraq – è di una gravità inaudita, perché colloca l’Unione su una linea di continuità con la politica estera della destra. C’è di che trepidare.
Ma c’è anche la necessità di reagire. Subito. A quanti guardano con fiducia alla sinistra di alternativa e in particolare al nostro Partito occorre dare la certezza che, se l’anno prossimo il centrosinistra andrà al governo, la politica di questo Paese cambierà davvero. Una risposta impegnativa in tal senso è sempre più urgente su tutti i terreni rilevanti per la nostra gente: la pace, il lavoro, il salario, lo Stato sociale. Bisogna dire con forza che gli anni Novanta non ritorneranno. Che la si smetterà una volta per tutte con la svendita del patrimonio pubblico, con la precarietà e con il taglio dei salari. Che l’Italia non parteciperà più a nessuna guerra. E che su questa questione non ci sono né patti di legislatura né vincoli di maggioranza che tengano.