MODELLO EMILIANO E IMMIGRAZIONE

Se c’è un fenomeno che sta cambiando a vista d’occhio la nostra regione, le nostre città, i nostri paesi, grandi e piccoli, di pianura e di montagna, è il fenomeno dell’immigrazione. La presenza diffusa ed evidente dei mille colori dei migranti che incrociamo tutti i giorni ci dice di quant’è cambiata la nostra società e di quanto potrà ancora cambiare.
Secoli di colonialismo nei confronti del sud del mondo assieme alle controrivoluzioni “di velluto” di fine anni ’80 hanno prodotto masse di nuovi poveri che costituiscono l’origine del fenomeno dell’immigrazione nei nostri paesi “ricchi” occidentali e quindi in una regione come l’Emilia-Romagna. All’origine del fenomeno dell’immigrazione opera il classico meccanismo capitalistico della ricerca del massimo profitto che agisce sulla speranza di masse di diseredati di riuscire a trovare nel paese accogliente un lavoro ed una situazione di maggiore benessere economico-sociale. Gli attuali processi migratori vanno pertanto contestualizzati all’interno dell’odierna situazione socio-economica mondiale nella quale essi si dipanano.
La nostra regione, una regione relativamente ricca (rispetto al mondo), che vede alti tassi di occupazione (sia pure con molti precari), è diventata e va diventando sempre di più un punto di arrivo privilegiato di flussi migratori inarrestabili dall’Est e dal Sud del mondo. Nel nostro territorio infatti il fenomeno immigratorio ha raggiunto una tale centralità da essere considerato oramai un connotato strutturale di ordine economico e sociale. Sono le imprese e le famiglie emiliano-romagnole ad aver bisogno di manodopera a basso prezzo da sfruttare: di manovali polacchi e rumeni (spesso in nero) che costruiscono nei cantieri l’esasperata espansione edilizia ed urbanistica delle nostre città; di operai marocchini e tunisini che lavorano 12-13 ore al giorno nei forni ceramici di Sassuolo e negli altri distretti industriali della regione; di badanti e domestiche ucraine, rumene e albanesi che accudiscono la nostra popolazione sempre più anziana e senza figli. Solo per fare alcuni esempi.
Le caratteristiche di crescita e consolidamento del fenomeno in Emilia-Romagna sono rilevabili dai dati del Dossier Caritas/Migrantes 2007 e sono l’indicatore della tendenza degli stranieri ad un insediamento stabile e strutturale nel nostro territorio. L’Emilia-Romagna è tra le regioni che registrano una maggiore presenza di residenti stranieri sia in termini assoluti che in termini d’incidenza sul totale della popolazione. Le stime del Dossier parlano di 388.203 (di cui 77.967 minori, pari al 20,1%) soggiornanti stranieri, quasi il 9,2% della popolazione residente (a fronte del 6,2% a livello nazionale), un dato destinato a crescere dal momento che l’Emilia-Romagna negli ultimi due anni è una delle regioni in cima alle graduatorie delle domande presentate per la programmazione dei flussi. Calcolando il dato delle residenze in regione, si evidenzia rispetto all’anno precedente un incremento dell’incidenza percentuale che passa dal 6,90% al 7,53%. Nell’anno scolastico 2006/2007 gli alunni con cittadinanza non italiana sono stati 58.521 (su 547.290 iscritti); la percentuale degli alunni stranieri è salita al 10,7% rispetto al 9,5% dell’anno scolastico 2005/2006. L’incremento significativo si registra nella scuola primaria e secondaria di 1° grado dove la percentuale supera addirittura il 12% (es. Reggio Emilia registra il 12,6%). Secondo i dati Inail invece gli occupati nati all’estero al 31 dicembre 2006, risultano essere in totale 223.140, pari al 15,3% del totale degli occupati in regione, percentuale superiore a quella nazionale (il 14,0%). Di questi 192.636 sono extracomunitari, pari all’86,3% del totale degli occupati nati all’estero. Ciò significa che la crescita occupazionale e la ricchezza dell’Emilia-Romagna è stata possibile grazie all’apporto di queste forze lavorative.
Questo è lo specchio di una società che sta cambiando radicalmente, che assume sempre più i connotati di una società multietnica e multireligiosa; allora o si affronta il fenomeno con una impostazione progressista e innovativa (vorrei dire rivoluzionaria) opposta al conservatorismo spesso razzista e xenofobo, oppure la situazione esplode incontrollata, come sta accadendo nel resto del paese, fra guerre fra poveri e pulsioni sicuritarie, repressive e autoritarie.
Qui oggi si misura la possibilità di ricollocare le qualità positive del modello emiliano nella fase attuale, nella capacità, cioè, di una buona amministrazione che risolve i problemi con un approccio innovativo e solidale, proteso all’accoglienza, alla convivenza civile, all’integrazione, al governo di una nuova società regionale multietnica e multiculturale molto più bella, più “ricca” e più forte della precedente. L’opposto dell’impostazione prevalentemente conservatrice, d’immagine, autoritaria e inefficace a risolvere i problemi che ha avuto, finora, il sindaco di Bologna, Cofferati, non a caso estraneo alla cultura amministrativa di questa nostra regione.