Ad Orvieto piove a dirotto, ma nessuno sembra farci caso. L’enorme tendone bianco allestito nel cortile della ex caserma Piave è grande abbastanza per contenere le oltre mille persone arrivate da ogni parte d’Italia per il quinto incontro nazionale dei volontari di Emergency. Tre giorni di dibattiti, incontri, seminari, laboratori, sportelli informativi sull’associazione umanitaria italiana fondata quattordici anni fa da Gino Strada e che ha già curato, gratuitamente, più di due milioni di persone in tutto il mondo.
Ad elencare tutti i paesi dove i medici di Emergency operano, ci vorrebbero più dei tre giorni disponibili: in Iraq, dove sono attivi due centri chirurgici, ora gestiti dalle autorità locali; in Cambogia, a Battambang, tra le aree più minate al mondo, dove funziona il centro «Ilaria Alpi» specializzato nella chirurgia ortopedica e ricostruttiva; in Sudan, dove è imminente l’inaugurazione del centro «Salam», un enorme ospedale chirurgico che servirà tutta l’Africa centro-nord-orientale, oltre 300milioni di possibili beneficiari. E ancora in Sierra Leone, Sri Lanka, Afghanistan, Ruanda, Eritrea, Palestina, Algeria, Angola. Tutti stati che hanno come comun denominatore l’emergenza umanitaria.
Ma quest’anno all’incontro di Orvieto, che si chiude oggi con l’assemblea plenaria finale e la conclusione dei lavori, si è parlato anche italiano con due progetti appena nati sul nostro territorio. Ad aprile è stato aperto a Palermo il primo poliambulatorio dedicato alla popolazione immigrata residente, regolare e no, grazie al quale potranno essere effettuati, sempre gratuitamente, controlli, visite mediche, e diverse prestazioni sanitarie. A Roma invece è stato sottoscritto, lo scorso novembre, un protocollo d’intesa con il Provveditorato per l’amministrazione penitenziaria del Lazio che prevede la possibilità per Emergency di inviare propri medici all’interno dei carceri romani di Rebibbia e Regina Coeli come ausilio sanitario ai detenuti.
Gino Strada, questo del «progetto carceri» è solo l’inizio?
Per le carceri italiane ho un sogno: esportare il modello afghano. Non è una provocazione. A Kabul possiamo entrare tranquillamente negli istituti penitenziari a curare i detenuti che hanno bisogno. In Italia, vuoi per la burocrazia vuoi per biechi interessi in gioco, ci viene sempre negato. E poi dicono che loro sono i «mostri».
E’ tempo di bilanci. Una fotografia per immortalare l’attività dello scorso anno di Emergency.
Rispondo proprio con una foto, quella dellaprima pagina del numero di settembre del nostro giornale. Raffigura otto neonati, uno accanto all’altro, nel reparto maternità del nostro ospedale costruito in Panshir. Sono nati pochi mesi fa in una terra, l’Afghanistan, dove le donne continuano a morire di parto. Sono nati grazie ai nostri medici. E’ una foto bellissima.
In Afghanistan voi siete presenti da diverso tempo. Da quando siete arrivati ad ora, cosa è cambiato?
Nulla. Il paese è allo sbando come può esserlo un paese in guerra. Perché, anche se non lo dice più nessuno tantomeno gli organi d’informazioni, in Afghanistan si muore ogni giorno sopra una mina o colpiti da un’arma da fuoco. Però ci sono i nostri militari a vigilare, e allora non si può fare dell’allarmismo.
Il nostro governo la considera però una missione di pace.
Ci risiamo, è tutto lì il problema. Ma quale pace, io non ho mai visto garantire la pace in un paese impugnando un fucile.
In Libano, invece, c’è l’avallo dell’Onu.
Sicuramente il contesto è diverso, ma è ancora troppo presto per dirlo. La cosa che mi indigna della questione libanese è però un’altra: la straordinaria velocità con cui si è chiuso il capitolo dei bombardamenti e si è aperto quello della ricostruzione e dell’invio di truppe. Dei morti di Beirut e delle altre città libanesi sembra non interessarsi più nessuno. Si vede che ci sono morti e morti.
Si spieghi meglio.
Prendiamo ad esempio l’11 settembre. A cinque anni di distanza la retorica su quanto accaduto ancora imperversa e le vittime sono, giustamente, commemorate. Perché non farlo anche con i libanesi e con tutti quei popoli vittime di guerre?
Perché?
Perché gli americani hanno deciso così e il mondo occidentale li segue a comando.