Misurarsi e capire

Intervengo nel dibattito che si è aperto con l’uscita dell’articolo di Grassi e Burgio su il manifesto e ripreso da Giordano prima, oltre a Mantovani e Musacchio poi, su Liberazione. Non mi interesso alla questione del modo in cui il dibattito si è aperto, né all’atteggiamento di chi preferisce tribune esterne al Partito anzichè prese di posizione negli organismi dirigenti. La cosa interessa ovviamente ed ha una sua propria rilevanza, ma la trascuro perchè la ritengo un elemento di fuorvianza rispetto alla sostanza delle posizioni politiche che vengono espresse, appunto in vario modo, e che sono il terreno vero del confronto.
Voglio dire che se alcuni compagni esprimono una linea, sia essa quella assunta dal Partito, ed altri ne esprimono un’altra in contrasto con quella, certamente rilevo i modi, ma ciò che mi preme è il contenuto di quella linea e su quello soltanto conduco la battaglia delle idee.
Il terreno è quello del rapporto nostro con i movimenti e quello della direzione del movimento; la questione è molto antica e se si ripercorre il cammino storico dei comunisti di tutto il mondo la ritroviamo di frequente con impostazioni ed esiti diversi.

Un risveglio sociale

Se dunque la questione non è nuova sono tuttavia nuovi gli elementi che la costituiscono e perciò rappresenta oggi un nodo importante della politica non solo per il nostro Partito, ma per tutte le forze di sinistra. Misurarsi con il movimento, capirne le ragioni, significa collegarsi con forze emergenti che reagiscono alla globalizzazione capitalista, la combattono, si interrogano sulla costruzione di un mondo diverso, vogliono cambiare lo stato delle cose esistente. Senza enfatizzare un fenomeno che annuncia sicuramente un risveglio sociale ed una contestazione forte, e senza voler aprire un dibattito sulla sua natura, si può dire che il movimento è oggi la realtà più rivoluzionaria esistente.
Credo che se si affronta la massa dei problemi che il rapporto col movimento ci pone, e ci porrà, con alcuni meccanismi di pensiero che albergavano nella sinistra (ad esempio nel Pci) rischiamo noi di non capire quel che sta avvenendo ed il movimento di non comprendere noi. La conseguenza più probabile di questa mutua incomprensione sarebbe uno scontro e una frattura. Lo dico io che ho alle spalle un quarantennio di militanza in quel grande Partito.
Non ci aiutano, nel rapporto con i movimenti, né la categoria dell’alleanza (il Fronte), né quella dell’egemonia (il Partito che guida). Queste categorie politiche in passato hanno avuto un senso ed una funzione (ed hanno fatto anche qualche danno), ma oggi sono inapplicabili perchè oggi il movimento antiglobalizzazione è diverso da tutti i movimenti della storia. E allora è da qui che occorre partire. Intanto è un movimento internazionale che si disloca sui continenti dall’Europa alle Americhe con una tendenza sorprendentemente espansiva e dinamica; ed infatti è composto da un numero straordinario di associazioni e gruppi, che si collegano e si muovono utilizzando tutti i mezzi esistenti di comunicazione e di spostamento.
In secondo luogo è un movimento composto da una varietà enorme di culture, di religioni, di opinioni politiche, di esperienze e di classi sociali. In terzo luogo è un movimento che ha assunto come obiettivo la contestazione della globalizzazione, in tutte le sue forme, (cioè il punto più alto dello sviluppo capitalistico) e come metodo quello della non violenza. Se questo è lo stato del movimento il nostro rapporto con esso non può utilizzare le categorie dell’alleanza e dell’egemonia (neppure nell’accezione gramsciana): saremmo dei velleitari e niente altro.

Unità ed autonomia

Dobbiamo allora cercare, direi esplorare, perchè ci si muove in una situazione per molti versi sconosciuta, altre vie per costruire, rafforzare e mantenere il nostro rapporto con i movimenti. Senza la pretesa di una scoperta, ed invece con molta modestia, vorrei provarmi ad individuare alcuni strumenti di approccio e di presenza nel movimento.
Mi pare che la categoria dell’unità ci serva innanzitutto. L’unità postula l’essere dentro e non all’esterno, significa condividere gli obiettivi generali, vuol dire svolgere all’interno del movimento una funzione unificante.
Mi pare anche sia utile la categoria dell’autonomia. Essere autonomi consente a tutti i gruppi, partiti, associazioni di mantenere non minacciata la propria individualità, le proprie convinzioni filosofiche o religiose che siano, favorendo al tempo stesso il confronto e lo scambio culturale e ideologico.
Mi pare infine che sia essenziale la categoria della partecipazione. Una partecipazione attiva all’organizzazione delle manifestazioni, alla scelta degli obiettivi, alla difesa dei diritti e delle ragioni del movimento ci integra e ci rende protagonisti al pari degli altri; arricchisce il movimento e determina consenso. Non è di questo che abbiamo bisogno?
Poste così le questioni anche il problema della direzione organizzativa del movimento assume un aspetto ed un valore assai meno pressante rispetto alla presenza. Il movimento deciderà autonomamente e sceglierà chi vorrà alla sua direzione e, ammesso che ne voglia una, lo farà tenendo conto di chi attivamente si impegna. Così di solito avviene.

* Vicepres. Collegio naz. di Garanzia Prc