«Missioni a guida Onu? Sono state un disastro»

«Una missione sotto il comando dell’Onu crea un sacco di guai. Glielo dirò chiaramente al ministro della Difesa». Il generale Fabrizio Castagnetti, originario della provincia di Piacenza, è un ufficiale dai modi garbati al quale tocca in questo momento un compito abbastanza arduo. Essendo il responsabile delle missioni estere, deve preparare la spedizione in Libano. «Il piano è quasi pronto. Uomini, mezzi, equipaggiamenti. Non è questo il problema. Le mie perplessità riguardano il funzionamento dei vertici della forza di pace».
Non le piace mandare i nostri militari sotto il comando delle Nazioni Unite?
«Se dobbiamo trarre degli insegnamenti dalle esperienze del passato, allora bisogna ammettere in tutta onestà che le operazioni comandate dall’Onu si sono rivelate un fallimento, in alcuni casi un disastro totale».
Per quale ragione?
«Perché il comandante ha le mani legate. Non può prendere decisioni senza consul-

tare il Palazzo di Vetro, a New York. Ma le sue invocazioni di ottenere delle direttive chiare si infrangono contro la burocrazia elefantiaca delle Nazioni Unite. Nessuno si prende la responsabilità di trasmettere un ordine. Invece il comandante ha quasi sempre bisogno di ricevere input chiari e rapidi altrimenti non sa cosa fare».
Lei accennava a esempi del passato.
«Certo. Prendiamo il caso della Somalia, ed abbiamo davanti il disastro che ne è venuto fuori sotto il comando Onu. Stessa storia nei Balcani. Alcuni comandanti sono sprofondati nella disperazione più nera perché non riuscivano a ottenere uno straccio di direttiva dall’ Onu. Abbandonati. In Ruanda l’ufficiale che guidava la missione si mise a piangere perché all’Orni nessuno gli dava ascolto mentre la gente si massacrava».
Quale soluzione suggerisce?
«L’ideale sarebbe che l’Onu affidasse un mandato, dicesse alla coalizione quali obiettivi bisogna raggiungere. Ma una vol-

ta stabiliti i compiti, il comando delle operazioni dovrebbe essere lasciato alla coalizione stessa. Invece l’Onu vuole mantenere il comando e questo genera un mucchio di problemi. Adesso avrò un incontro con il ministro della Difesa Parisi per mettere a punto il progetto Libano e glielo dirò. Gli spiegherò le difficoltà di agire sotto la guida Onu. Approfitterò della sua cortesia per fargli capire, visto che lui stesso chiede, si interessa, e riconosce che nella classe politica manca un’adeguata cultura della sicurezza e della difesa».
La risoluzione 1701 come le sembra?
«E’ frutto di un compromesso che mette nei guai le forze armate. Ero consapevole che serviva un compromesso per rendere la decisione accettabile a entrambi i contendenti. Però così è stato prodotto un capolavoro di ambiguità. Per esempio, il paragrafo 11 dice che la forza internazionale deve aiutare il Libano a disarmare le milizie hezbollah. Benissimo. Peccato che al paragrafo successivo, il numero 12, si legge esattamente l’opposto. Che facciamo?».
Come l’hanno presa negli altri Paesi?

«C’è molta cautela. Io sento alcuni colleghi stranieri, sono tutti abbastanza preoccupati. C’è il rischio di trovarsi in mezzo a due fuochi».
Non a caso il presidente Chirac vuole vederci chiaro prima di inviare un contingente.
«Alla fine i francesi ci saranno. Però cominciano a dire: invece di una missione Onu era meglio che mettevamo insieme un gruppo di nazioni desiderose di riportare la pace in Libano, formavamo una coalition ofwìllings, una coalizione di volenterosi e tenevamo fuori l’Onu. Sì, sarebbe stato preferibile, ma il Libano non avrebbe accettato».
Adesso lei ha l’incombenza di formare il contingente italiano.
«Siamo quasi pronti. Prevediamo che la forza italiana a regime si avvicinerà ai 3 mila uomini, non di più».
Che tempi prevede per la partenza?
«La prima a muoversi sarà la Marina. Nel giro di pochi giorni potrebbe partire la portaerei Garibaldi che avrebbe la funzione di nave comando. Poi toccherà a una brigata: io ho dato delle indicazioni, ma lascio al capo di stato maggiore della Difesa la scelta di quale brigata mandare».