Missione in Libano, in un appello tutti i dubbi di Zanotelli

Quali condizioni e garanzie irrinunciabili per una Forza d’interposizione in Medio Oriente? La questione delle questioni che rimbalza da giorni dai quotidiani e dai tigì all’opinione pubblica e viceversa, in una spirale sempre più critica, sinceramente o strumentalmente, verso il governo in generale e il ministro D’Alema in particolare, è il titolo dell’appello giunto ieri nelle redazioni dei giornali, primo firmatario padre Alex Zanotelli, missionario di pace da sempre.
Insieme a decine di persone che hanno firmato con lui questa specie di sottoscrizione aperta, destinata ad allungarsi e a diventare la coscienza critica della missione italiana in Libano, il missionario comboniano scrive: «E’ indubbio che per arrestare la spirale di violenza che sempre più insanguina il Medio Oriente, e si estende pericolosamente al resto del mondo, sia più che mai necessario un impegno attivo della comunità internazionale, sotto la guida dell’Onu. L’esito di un tale impegno dipende tuttavia in modo determinante dalle condizioni in cui verrà attuato e condotto. Sembra più che mai necessario richiamare l’attenzione del governo, del Parlamento e di tutti i cittadini su alcuni punti molto delicati».

Ecco il nodo. Si tratta di una missione con molti tratti rischiosi e delicati, come peraltro aveva detto davanti alle Commissioni congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato il ministro Parisi: «Sarà una missione lunga, pericolosa, onerosa, ma non per questo meno doverosa».

Oggi più che mai, sembrerebbe, non solo per quel numero di soldati italiani, 3.500, da mandare e da mantenere sulla linea di fuoco tra il sud del Libano e il nord di Israele, ma anche per quella responsabilità della catena di comando che sembra essere gradita e persino sollecitata sia dal governo di Beirut che da quello di Tel Aviv, forse perché è sotto gli occhi di tutti quello che invece sta avvenendo in Iraq e in Afghanistan, dove alla testa degli eserciti armati ci sono gli Stati Uniti d’America, con le loro regole d’ingaggio che hanno consentito e coperto e giustificato, ad esempio, l’uccisione del funzionario italiano del Sismi Nicola Calipari.

Scrive padre Zanotelli che «una prima considerazione doverosa è che la guerra in Libano ha occultato il problema palestinese» e che «non sembra accettabile, in particolare, che la comunità internazionale ignori completamente il fatto che ministri e parlamentari di un paese che dovrebbe essere sovrano siano stati sequestrati (ancora sabato 19 agosto il vicepremier Nasser-as-Shaer) imprigionati e almeno in un caso anche torturati. In nessun altro paese un simile intervento straniero potrebbe venire tollerato: perché nessuno reagisce nel caso di Israele?»

Se è per questo in Italia ci si è ficcati la testa sotto la sabbia anche per un altro caso di sequestro di un cittadino arabo, quello dell’imam Abu Omar, rapito in territorio italiano da militari (?) polizia (?) e servizi segreti americani (?). Si vede dunque che ci sono sequestri e sequestri, e c’è un’evidente arbitraria asimmetria tra tutto quello che fa la Cia e il Mossad o gli eserciti israeliano e statunitense, in casa propria o altrui, e quello che fa chiunque altro. Per non parlare dell’uso di un’arma impropria come la televisione italiana che riesce a propinare in diretta su tutte le reti e in tutti i tigì, nel caso di madri americane o israeliane, interviste strappacuore dai tinelli di casa con tanto di foto di famiglia.

E il direttore di “Nigrizia” precisa ancòra: «Venendo alla costituzione di una Forza internazionale d’interposizione, essa deve ubbidire ad alcune condizioni fondamentali ed elementari: è evidente che non possono farne parte militari di un paese che non siano rigorosamente equidistanti tra i due belligeranti. (Ma) l’Italia ha stipulato lo scorso anno (lo scorso governo, ndr) un impegnativo Accordo di cooperazione militare con Israele, che inficia in modo sostanziale e irrimediabile la nostra equidistanza. Il Diritto internazionale impone, come minimo, la “preventiva sospensione di tale Accordo”, i cui termini dettagliati devono assolutamente essere resi noti all’opinione pubblica».

Rimangono però anche altre riserve, avverte il sacerdote pacifista, ed elenca: «Appare singolare e tutt’altro che neutrale il fatto che una forza internazionale d’interposizione venga schierata sul territorio di uno dei due paesi in conflitto, quello attaccato, e non lungo il loro confine. Deve essere chiaro pertanto che, finché tale forza opererà in territorio libanese, essa dovrà essere soggetta alla sovranità di Beirut e non potrà in alcun modo essere incaricata del disarmo o dello scioglimento di Hezbollah. Queste condizioni operative esporranno i militari che compongono la Forza d’interposizione ad agire nel caso in cui avvengano reali o pretese provocazioni», e chiede e si chiede preoccupato, padre Zanotelli: «Come potranno opporsi con la forza all’esercito israeliano, tuttora presente in territorio libanese?»

Domande pesanti come pietre, e allertamenti altrettanto precisi: «Deve essere estremamente chiaro che questa Forza d’interposizione non potrà mai in nessun caso essere coinvolta in una ripresa o un’estensione del conflitto; così come deve essere escluso un suo impiego per proteggere le ditte italiane (o spianare loro la strada, ndr) che si lanceranno nella lucrosa ricostruzione del Libano».

Infine, la lettera-appello avverte che è necessario fugare qualsiasi illusione circa il fatto che l’interposizione militare possa, di per sé, anche nelle migliori condizioni, essere risolutiva per il conflitto in Medio Oriente, «soprattutto per risolvere la fondamentale questione palestinese… Chiediamo pertanto – conclude – che prima di inviare un contingente italiano il nostro governo ponga a livello internazionale la condizione irrinunciabile del dispiegamento di una forza internazionale di pace anche a Gaza e in Cisgiordania, a garanzia della sicurezza di Israele e come condizione per la creazione di uno Stato Palestinese».

Si prepara intanto la manifestazione per la pace in Medio Oriente che sabato prossimo ad Assisi lancerà contro le armi di entrambi i paesi in conflitto le parole d’ordine «Fermatevi! Fermiamole!».