Il deputato Ivan Moreira dell’Udi, il partito pinochettista, dopo uno dei suoi pellegrinaggi all’ospedale militare di Santiago fra domenica e ieri alla notizia dell’infarto che l’ha colpito, ha detto «Dio vuole che il generale Pinochet viva».
Lo vogliono anche i sopravissuti alle sue nefandezze, i familiari delle sue vittime, la gente raccolta intorno alla Agrupacion de familiares de detenidos desaparecidos (il corrispettivo cileno delle Madri di piazza di maggio argentine), gli organismi di difesa dei diritti umani, quei giudici (non tanti) che in Cile e fuori cercano invano da una decina d’anni di comminargli una sacrosanta condanna per l’infinità di crimini che ha commesso nei 17 anni della sua dittatura. Perché, come ha detto Patricia Verdugo, la scrittrice e giornalista democristiana (e figlia di un sindacalista democristiano ucciso nel ’76 dagli sgherri del regime), «la morte di Pinochet chiuderebbe tutti i giudizi a suo carico con un timbro lapidario: “Definitivamente archiviato per morte dell’imputato”».
Invece – dalla destra cilena che lo considera(va) il suo eroe fino al governo socialista-dc che se lo toglierebbe finalmente dai piedi una volta superato l’ultimo problema: funerali di stato e lutto nazionale, come corrisponde a un ex-presidente o funerali privati come si conviene a un golpista assassino e ladro? – sono in tanti a sperare che questa sia la volta buona, dopo tutte quelle finte, in genere coincidenti con le decisioni che i tribunali dovevano prendere su di lui.
Anche l’ultimo «infarto al miocardio con edema polmonare» che l’ha colpito domenica poco passata la mezzanotte, con ricovero urgente nel sicuro Hospital Militar di calle Vitacura, immediato intervento chirurgico di angioplastica e immancabile estrema unzione (ne avrà già ricevute una decina), forse per caso forse no («una strategia della difesa», ha detto ieri Hiram Villagra, uno degli avvocati dell’accusa; «un’altra infamia della sinistra», ha ribattuto il suo difensore Pablo Rodriguez, il fascistissimo ex-leader di Patria y Libertad) è caduto giusto 24 ore prima che la Corte d’appello di Santiago si riunisse per decidere se confermare o meno gli arresti domiciliari che gli aveva decretato il giudice Victor Montiglio alla fine di novembre per il caso della «Carovana della morte» (la spedizione punitiva dell’ottobre ’73 guidata dal generale Arellano Stark, 75 morti).
Forse per caso forse no, ieri la Corte d’appello ha deciso di revocargli gli arresti domiciliari dietro una modesta cauzione di 1 milione di pesos ( 2000 dollari).
«Un altro miracolo – l’ha definito ieri un altro degli avvocati dell’accusa, Hugo Gutierrez -. Domenica notte è entrato praticamente morto e ieri, a quanto ne sappiamo, era già cosciente e lucido». «Quasi un miracolo» la sua ripresa anche per la figlia Lucia, che però «ha sempre avuto fede» che ce la potesse fare anche stavolta. Ieri pomeriggio il quarto bollettino medico parlava di «condizioni stabili ma ancora critiche», escludendo però una seconda operazione a cuore aperto e altissimo rischio.
Se non bastassero i miracoli e la fede di Lucia e dell’on. Moreira, ci sono le preghiere dell’arcivescovo di Santiago, il cardinale Francisco Javier Errazuriz («siamo tutti figli del perdono di Dio», ha detto dopo essere andato al capezzale), dei fedeli nella Cattedale militare di Santiago (che ieri mattina dopo la messa si sono scontrati con i giovani anti-pinochettisti che li aspettavano fuori) e della piccola folla di fan radunatisi davanti all’ospedale militare (la notte fra domenica e lunedì erano in 5) che hanno innalzato un altarino improvvisato e aggredito l’ex-comandate dell’esercito, il generale Juan Emilio Cheyre, al grido di «traditore e gallina». Sono gli ultimi incondizionali di un uomo che, vivo o morto, è un cadavere politico. Anche la destra pinochettista, Udi e Rn, in via di riciclaggio si è chiusa dentro un anodino «no comment» (e quelli che vanno e manifestano lo fanno «a titolo personale»). Il governo segue da vicino ma distaccato l’evolversi della situazione.
Prima o poi morirà e potrà così sfuggire definitivamente alla giustizia, uscendo di scena impune e senza mai aver subito una condanna – o grazie ai cavilli o per cause naturali -. Ma in tanti speriamo che non sia ancora arrivata la sua ora. Lunga vita, generale.