Ministeri ridisegnati: Prodi mette la prima fiducia

La notizia di politica italiana arriva da Berlino. Ieri, il premier Prodi era nella capitale tedesca, ultima tappa del suo mini-tour europeo. Una domanda dei giornalisti l’ha però costretto a tornare sulle vicende di casa nostra. La domanda è stata: come pensate di avviare l’attività del governo, se al Senato sono stati già depositati qualcosa come 400 emendamenti al decreto di riorganizzazione dei ministeri? La risposta è stata secca: «Con un voto di fiducia».
Sarà il primo chiesto dal governo dell’Unione. Ed è destinato ad alimentare qualche polemica. Scontate, quelle sollevate dalle destre a stretto giro di posta. Destre che, senza molta originalità, parlano di «esecutivo allo sbando» fin dalle prime battute della legislatura. Frasi che un po’ tutti si aspettavano, tant’è che sempre Prodi, e sempre da Berlino, quasi a prevenirle aveva già detto: «Non si possono discutere 400 emendamenti. Il paese ha l’urgenza che sia approvato quel provvedimento e non mi pare che ci sia nulla di sorprendente. E ricordo che il mio predecessore ha posto la fiducia addirittura sulla riforma costituzionale».

Polemiche strumentali a parte, qualche disagio comunque la scelta di Prodi la pone anche alla maggioranza. Non all’Ulivo, che neanche mezz’ora dopo l’annuncio del presidente del Consiglio, faceva dichiarare ad Anna Finocchiaro, capogruppo a Palazzo Madama, d’essere «completamente d’accordo con la decisione di mettere la fiducia». Qualche problema, però, esiste lo stesso. Tanto più che appena cinque anni fa, il primo atto del governo Berlusconi fu proprio un decreto che ricostruiva le competenze dei singoli ministeri. E all’epoca, le opposizioni votarono contro la costituzionalità di quel provvedimento.

Qualche malumore, insomma, è da mettere nel conto. Per il metodo. Ma anche, almeno un po’, per ciò che riguarda il merito del provvedimento. Perché si sta parlando del decreto che tutti conoscono col nome di «spacchettamento dei ministeri». In soldoni è il provvedimento di riordino delle competenze di Palazzo Chigi e dei vari ministeri.

Che era in discussione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, dove appunto sono stati depositati i quattrocento e passa emendamenti. Si tratta, insomma, del decreto che ha portato alla creazione di due nuovi dicasteri, quello allo sviluppo economico, che ha assorbito le competenze prima distribuite fra le attività produttive e l’economia, e quello alla solidarietà sociale, che è diventato competente per le politiche sulla droga e sull’immigrazione. E ancora, nel decreto vengono riorganizzati i ministeri delle infrastrutture, quello dei trasporti, del commercio internazionale, della pubblica istruzione, dell’università e della ricerca. Infine, sempre nello stesso decreto, Palazzo Chigi si attribuisce la competenza per ciò che riguarda lo sport, le politiche giovanili e la famiglia. Competenze che sono state poi redistribuite a ministri senza portafogli, con le «deleghe».

Una profonda riorganizzazione, insomma. Che il governo ha considerato necessaria per dare una rapida attuazione al programma. Da qui, il decreto. Sul quale era cominciato il confronto parlamentare, prima che le destre scegliessero la strada dell’ostruzionismo (su 400 emendamenti, due soli sono del governo, che ha raccolto alcune preoccupazioni del sindacato sull’inquadramento dei lavoratori spostati da un ministero all’altro). Ostruzionismo al quale si farà fronte col voto di fiducia. Che rischia, però, di far passare sotto silenzio le critiche, che pure si sono levate dalle fila della maggioranza, al decreto. Come quelle espresse al Senato da Rifondazione, con le parole di Claudio Grassi. Che non ignorato quella che molti definiscono la parte meno presentabile del provvedimento: quella che istituisce una pletora di sottosegretari. Facendo superare «quota cento» al numero totale dei membri del governo, un record assoluto. Tutto ciò, ha detto Grassi, «rischia di lanciare un messaggio non positivo al paese, poiché se da un lato il governo s’è impegnato a non aumentare le spese per il suo funzionamento, anzi, a ridurle, dall’altro un numero così consistente di ministri e sottosegretari rischia di ingenerare nell’immaginario una sensazione completamente diversa». E se così è, spetta al governo correggere subito quest’immagine. Con provvedimenti che vadano in un’altra direzione. Con provvedimenti che parlino di giustizia sociale, di redistribuzione del reddito. Ma questa è un’altra «partita».