Mille morti sulla forca americana il prossimo è uno scrittore di favole

Seattle

Alle ore due del mattino di ieri, nel braccio della morte della Central Prison di Raleigh, in North Carolina, l’America dei patiboli ha finalmente fatto mille. E farà molto presto milleuno se, prima del 13 dicembre, il governatore della California, il ben noto Arnold Schwarzenegger, non riscoprirà in sé (o nelle convenienze politiche del momento) una virtù – quella della clemenza – della quale non ha fin qui, tanto da muscoloso protagonista di “action movies” hollywoodiane, quanto da emergente astro del firmamento repubblicano, dato particolare mostra. L’onore di doppiare la storica boa – ovvero, il privilegio d’essere il millesimo tra gli esseri umani giustiziati negli Usa dopo che, nel 1976, la Corte Suprema ha riconfermato la costituzionalità della pena capitale – è toccato, via iniezione letale, a Kenneth Lee Boyd, un bianco (rara evenienza in questo campo) di anni 57, accusato d’avere assassinato la ex moglie ed il suocero nel 1988. Boyd, raccontano le cronache, non si è mai proclamato innocente, ma ha sempre sostenuto di non rammentare nulla d’un delitto che, come molti particolari sembrano confermare, è stato commesso in una sorta di raptus passionale da un uomo il cui quoziente d’intelligenza è (era) appena superiore (77 contro 75) a quelli che sono considerati i confini legali della
demenza. E proprio questa, quella dell’incapacità di intendere e di volere, era stata l’ultima carta vanamente giocata dal suo avvocato per ottenere dal governatore dello stato, Mike Easly, un’ennesima sospensione della sentenza. Niente da fare. La mannaia del boia si è inesorabilmente abbattuta (nella asettica e, proprio per questo, ancor più macabra forma, d’un ago e d’una siringa) sul capo del reo, trasformandolo in un cadavere e, al tempo stesso, in una pietra miliare della statistica della morte.
Dettaglio curioso. A garantire a Boyd questo indesiderato privilegio era stato, martedì scorso, il governatore di un altro Stato, la Virginia, che pure vanta un più che rispettabile record in materia di pene capitali eseguite. Mark Warner – considerato uno dei
possibili candidati presidenziali democratici nel 2008 – aveva infatti concesso clemenza a Robin Lovitt, l’uomo che il destino pareva aver condannato a diventare il millesimo tra i morti ammazzati a norma di legge nella più recente storia degli Stati Uniti d’America.
Ragione di questa decisione: i dubbi sollevati da una procedura che aveva distrutto molti degli elementi di prova che, se riesaminati alla luce delle più aggiornate tecnologie, potevano forse scagionare Lovitt (che si è sempre proclamato innocente).
Su tutti: le forbici con le quali, nel marzo del 1998 era stato assassinato Clayton Dicks, un cassiere che ebbe la sfortuna di cogliere
sul fatto una banda di rapinatori. Da quando è stata introdotta la prova del Dna, ha argomentato Warner nel trasformare in ergastolo la pena capitale, un ottavo di tutti i detenuti racchiusi nei bracci della morte è stato scoperto innocente. Non mi sento mandare a morire un uomo al quale, per cause di forza maggiore, non posso concedere il diritto a quest’ultima e dirimente verifica. Sagge parole. Sagge e, per molti aspetti, prove del sempre più ovvio incrinarsi d’una certezza. O, se si preferisce, d’una passione nazionale. Mark Warner è un democratico conservatore. E quattro anni fa aveva vinto la corsa per la poltrona di governatore assai più in virtù della seconda che della prima di queste sue due qualità. Tanto che, nel corso della campagna non aveva – come in Virginia impone, o imponeva, il rituale politico – perso occasione per rammentare agli elettori quanto profondo ed immutabile fosse il suo amore per la forca. Eppure quattro giorni fa, in quello che è stata una delle sue ultime decisioni come governatore e, probabilmente, il primo atto
della sua campagna presidenziale per il 2008, ha scelto di concedere la vita ad un condannato a morte. Non solo. Meno di un mese fa, in Virginia, si sono svolte – proprio per sostituire Warner, giunto al termine del suo mandato – le nuove elezioni governatoriali. E a vincere (anche grazie all’appoggio di Warner) è stato un altro democratico, Tim Kaine, un candidato che si è sempre apertamente
opposto alla pena capitale. Nonostante una recentissima inchiesta della Gallup mantenga ad un più che rispettabile 64 per cento la quota degli americani favorevoli alla pena di morte, e che la Casa Bianca abbia salutato l’omicidio di Boyd affermando che l’iniezione letale «salva delle vite innocenti», qualcosa sta in questo senso cambiando negli Usa. La forza dei numeri – quelli che indicano l’assoluta iniquità ed inutilità del patibolo – comincia lentamente a farsi strada anche in quelle parti del paese che, occhio
per occhio, dente per dente, considerano la pena capitale una sorta di biblica virtù, un bene dell’anima ed un patrimonio nazionale. E la decisione di Warner testimonia quanto, da questo punto di vista, l’America sia diversa da quella che, solo poco più d’un decennio fa, nel 1992, aveva visto un altro governatore del sud con aspirazioni presidenziali, tal Bill Clinton, abbandonare la campagna delle
primarie in New Hampshire per ritornare in tutta fretta nel suo Stato, l’Arkansas, al fine di dimostrare al mondo la sua inflessibilità
contro il crimine, firmando di suo pugno l’ordine di esecuzione di Ray Rector, un povero negro decelebrato. Ed è in queste nuove circostanze che, ora, la palla passa nel campo del nerboruto governatore della California.
Quello che Arnold Schwarzenegger deve affrontare non è davvero – anche se ormai liberato dal peso della millesima tacca – un caso qualunque. Stanley “Tookie” Williams – la cui esecuzione è programmata per il prossimo 13 dicembre – è infatti anche lui, come l’ex mister universo divenuto divo di Hollywood, una celebrità. Più ancora: è un uomo divenuto celebre come testimonianza di quell’umano riscatto che è, in sé, la ragione della clemenza del perdono cristiano. Tookie è stato uno dei fondatori d’una delle più feroci gang giovanili – i Crips – che, in questi anni, hanno insanguinato i ghetti delle metropoli americane. Ed è certo che, in questa veste, ha commesso crimini orrendi (anche se si proclama innocente dei quattro omicidi che furono alla base della sua condanna). Ma
una volta in carcere è diventato – proprio in virtù del suo tenebroso passato – una fonte di luce.
Ovvero: uno dei più convinti e convincenti predicatori di pace. Ha scritto bellissimi libri che, testimoniano anche un notevole talento letterario, spiegando ai bambini l’orrore della violenza delle gangs. Ha vergato un “protocollo” che, nel New Jersey, due anni fa, le autorità hanno usato per trattare la riconciliazione e lo scioglimento dei Crips e dei loro storici rivali, i Bloods. E tale è stata la risonanza internazionale di queste sue iniziative che, nel 2001, un membro del parlamento svizzero lo ha nominato come candidato per il Nobel della Pace. Che cosa farà, ora, “Governator” Schwarzy? Sceglierà la morte per risospingere verso l’alto le sue molto declinanti fortune politiche, magari accompagnando la decisione con quel uno di quei classici “Hasta la vista, baby”, che, nelle vesti del Terminator, hanno fatto le sue fortune cinematografiche?
O mostrerà al mondo il (molto nascosto) lato tenero del suo cuore, tenendo conto del parallelo intenerimento del cuore della nazione? Difficile prevederlo. Qualcuno, nei giorni scorsi, ha cercato di venirgli incontro rammentandogli un precedente consumatosi (ancora
governate sua maestà britannica) nel lontano 1731, a Filadelfia. In quel caso due ladri vennero trascinati sulla classica caretta, insieme alle bare che dovevano ospitarli, fin sull’alto patibolo, dove il boia provvide a porre attorno ai loro fragili colli il classico nodo scorsoio. E solo in quell’istante fatale lo sceriffo si decise a leggere il testo del decreto di perdono che, pure, portava in tasca fin dall’inizio della cerimonia. Le autorità – hanno spiegato gli storici – usavano spesso questi gesti di clemenza dell’ultimo istante per drammatizzare tanto la severità della legge, quanto la sua estrema generosità. E non v’è dubbio che anche oggi, una simile procedura,
potrebbe soddisfare – evitandogli di commettere un atto ingiusto e crudele, ma tenendo intatta la sua fama di duro – le esigenze di hollywoodiana spettacolarità che sono state, fino a qualche tempo fa, alla base delle fortune politiche del governatore.
Non si tratta, ovviamente, che d’una provocazione. Schwarzy non potrebbe seguire l’esempio di Filadelfia, non fosse che per un paio di circostanze: oggi, in California, le esecuzioni non si svolgono più nelle pubbliche piazze. E quello che mister muscolo ha davanti
è una vera, drammatica storia di vita vissuta, non un copione cinematografico. Toccherà proprio a lui – all’implacabile Conan il Barbaro – dimostrare nella vita reale come anche in America sta, finalmente, per morire il culto della morte?