Pronti agli emendamenti se il governo non cambia rotta. E’ più di un avvertimento quello che giunge, se pure con vari distinguo, da parte della sinistra radicale. Il rischio “tenuta” della maggioranza si fa di giorno in giorno più concreto, lo stesso che proprio ieri ha ammesso D’Alema nella sua intervista al “Corriere”. «Se i voti dell’opposizione fossero determinanti il provvedimento passerebbe ma si aprirebbe un problema politico enorme». E questo è proprio il nodo che dovrà sciogliere l’Unione. “Che fare”? Fino a ieri il decreto non era ancora stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. E ciò su cui la maggioranza si sta arrovellando in questi giorni è il disegno di legge di accompagnamento che sarà in aula il prossimo 17 luglio. La scadenza per presentare gli emendamenti sul Ddl è prevista per martedì alle 16. La stessa Rifondazione è pronta a presentarne di propri. Fino ad allora naturalmente tutto è possibile. Anche se la “quadra” ad oggi ancora non c’è. Tanto che le parole del reggente della Farnesina cadute nel bel mezzo della discussione aperta in Transatlantico non poteva che sollevare più di un polverone, una vera bufera.
«Bè, se l’opposizione è decisiva allora si torna al voto» non manca di replicare con un pizzico d’ironia – più di un pizzico per la verità – il capogruppo dei Verdi alla Camera Angelo Bonelli. Nessuno intende chiudere le porte al dialogo naturalmente sempre che il governo accetti di aprirle “quelle” porte. «Certo – sottolinea Gennaro Migliore (Prc) – ha ragione D’Alema quando spiega che se i voti della Cdl fossero determinanti si creerebbe un problema politico. Dunque nessuno li cerchi e si rifiutino maggioranze variabili». L’Udc del resto è pronta a votarla quella missione. E lo stesso Fini non ha mancato di sottolineare proprio ieri che proprio quel Ddl è in linea con quanto proposto da An. In definitiva si aprirebbe, e come, un “serio” problema politico.
Ieri, ancora, la prima “plenaria” dei cosiddetti dissidenti, tenuta a porte chiuse a Palazzo Marini, si è conclusa con l’annuncio – da parte di Cannavò (Prc) – della presentazione di un pacchetto di emendamenti al testo del governo a partire proprio dalla definizione di una “exit strategy” da “Enduring freedom” e, per il prossimo 15 luglio, di un’assemblea pacifista autoconvocata che, accanto ai parlamentari del fronte del “no”, vedrà la partecipazione di rappresentanti del movimento pacifista e delle associazioni, a cominciare da Gino Strada, e l’adesione di altre personalità come Gianni Minà, Giulietto Chiesa oltre che di una senatrice dell’Idv: Franca Rame. «La nostra iniziativa – precisa Grassi (Prc) – che aveva suscitato una vera e propria levata di scudi nel centrosinistra, ha già ottenuto un successo concreto, ovvero il previsto incontro tra il ministro della Difesa Parisi e rappresentanti di Prc, Pdci e Verdi oltre all’importante presa di posizione di un gruppo di parlamentari della Sinistra Ds». Ieri al gruppo originale (Malabarba, Grassi, Turigliatto e Giannini del Prc; Bulgarelli, Loredana De Petris e Silvestri dei Verdi; Rossi del Pdci) si è aggiunta un’altra rappresentanza di circa una decina di deputati, a partire dagli esponenti di Rifondazione comunista Cannavò, Burgio e Pegolo. E come osservatore un altro senatore dei comunisti italiani, Dino Tibaldi. Gli stessi – i rappresentanti del Pdci – pronti anch’essi a presentare al Ddl due emendamenti: uno per il rientro immediato da “Enduring freedom” e uno per la riduzione di almeno il 10% dell’Isaf come gesto simbolico nella prospettiva di una “exit strategy”.
Come se non bastasse di mezzo ci si è messo persino De Gregorio. Lo ricordate? E’ il presidente della commissione Difesa del Senato che con un blitz ha soffiato il posto che spettava a Lidia Menapace.
In un breakfast di lavoro con gli ambasciatori americani non ha mancato di sottolineare il rafforzamento dell’impegno italiano in Afghanistan e del ruolo delle nostre Forze Armate nelle operazioni di peace-keeping dell’Alleanza atlantica. E, come se non bastasse, è riscoppiato in men che non si dica il “caso” De Gregorio. «De Gregorio – hanno subito replicato i senatori Lidia Menapace e Russo Spena (Prc) – farà bene a ricordare che Rifondazione era e resta contraria alla missione in Afghanistan e che ha accettato l’accordo di maggioranza sulle missioni all’estero solo in virtù degli importanti segnali di discontinuità con il passato primo passo in una strategia di disimpegno». L’ultima denuncia è quella di Martone. In tutto – dichiara il senatore del Prc – «le unità italiane impegnate in Afghanistan sono tre». Due – l’Etna e il Comandante Foscari – si trovano tra il Golfo Persico e il Mar Rosso, l’altra – la Euro – nel triangolo tra l’Oceano Indiano, il Mar Rosso e il Pakistan e fanno parte di Task Force diverse. Le nebbie in cui si va infilando l’Unione si stanno facendo via via più dense. Chissà che Parisi, oggi, non riesca almeno un po’ a diradarle.