In Regione Lombardia va in onda, da vari anni, il programma a puntate “Guarda come ti smonto la sanità pubblica”. Oggi diamo uno sguardo a quel che accade ai consultori pubblici milanesi, colpiti dalla lenta ma progressiva erosione di risorse e spazi. Tutto a favore dei privati.
La Regione e il Comune hanno marciato a braccetto nel favorire il “privato sociale”, cioè le strutture private. Il nodo della questione è: quale privato, secondo quali parametri di funzionamento, con quali garanzie di laicità. Le donne milanesi delle reti e dei gruppi che convergono nell’assemblea di “Usciamo dal silenzio” stanno ragionando su come rilanciare l’iniziativa politica su questi temi.
Il consultorio ha il compito di prendere in carico il benessere della persona nella sua interezza di corpo e psiche. Struttura ibrida tra ambulatorio e luogo di accoglienza e ascolto, il consultorio si occupa della salute della donna nelle diverse fasi della vita, di contraccezione, di educazione sessuale. Nascere e dare/non dare la vita, invecchiare, crescere, problemi di coppia, disagio psicologico, sono tutti momenti della vita cui questo servizio dovrebbe poter rispondere con personale adeguatamente preparato. E’ un servizio di utilità sociale rispetto a cui l’informazione dovrebbe essere capillare, accessibile, multietnica, laica. Che va collegato agli altri servizi sul territorio. Su cui le amministrazioni dovrebbero investire denaro e curarne nei dettagli l’impiego. Con personale in grado di dare continuità, quindi non precario.
Tutto ciò non accade. Le operatrici denunciano problemi strutturali, in primo luogo il blocco delle assunzioni. Il personale è impiegato su progetti. Ma i progetti, si sa sono a termine. “Stop al bullismo”, “Parole non dette, prevenzione dell’abuso sessuale” “Educazione sessuale” “Coccole e giochi”, “Sportello mamma-papà”, “Percorso nascita” (gruppi gravidanza e post parto), “Sportello psicologico scuole” sono i nomi di interventi socio-sanitari ed educativi realizzati in anni recenti grazie alla “legge Turco” (n. 285 del ’97). Una volta verificato il loro funzionamento, questi servizi dovrebbero diventare parte della struttura e avere personale dedicato. Sebbene l’utenza abbia manifestato il gradimento e i risultati siano documentati, saranno sospesi da un giorno all’altro.
Dall’inizio del 2006, infatti, i fondi stanziati per il triennio 2005-07 non sono più disponibili (le operatrici hanno strappato una proroga fino a giugno 2006). A cosa saranno stati destinati questi fondi, non si sa. Nel lungo viaggio da Stato a Regione, a Asl, a Comune, devono essersi persi da qualche parte. Essendo vincolati a progetti e non a strutture, niente vieta che siano destinati a qualcuno dei 13 consultori privati accreditati esistenti sul territorio milanese.
La riforma sanitaria della Regione Lombardia, avviata nel ’97, prevede la parificazione tra strutture pubbliche e private. Il meccanismo consiste nell’accreditare strutture private all’erogazione di un servizio. L’Asl rimborsa la struttura per il servizio che svolge. Il nodo cruciale è come si garantisce che il privato mantenga gli standard del servizio pubblico. Ad esempio, in relazione all’applicazione della legge 194.
A Milano ci sono 19 consultori pubblici. Dei 17 privati che ad oggi hanno richiesto e ottenuto l’accreditamento della Regione Lombardia, solo l’Aied è di specchiata tradizione laica. Dei restanti consultori accreditati, non vi è certezza che garantiscano né l’applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, né parametri previsti dalle altre leggi in materia di salute riproduttiva.
L’analisi dei dati raccolti dalla stessa Regione Lombardia, in un dettagliato resoconto (periodo 2002-2004), mostra che i consultori pubblici costano la metà e producono il doppio rispetto ai privati accreditati. Che i primi hanno il triplo di utenti per sede e solo un terzo in più di valorizzazione per la sede rispetto ai secondi. I privati accreditati non hanno mediatrici culturali ma registrano il 30% di straniere sull’utenza complessiva. In compenso segnalano 31 mediatori familiari.
Nei consultori privati accreditati il servizio è affidato al personale volontario per il 63%, contro lo 0,1% del pubblico. I consultori pubblici offrono prestazioni mediche in misura 3 volte maggiore rispetto ai privati, che fanno soprattutto corsi e incontri di gruppo. Si tratta di capire se e in che cosa “Stop al bullismo” o “Coccole e giochi” del consultorio pubblico differiscano dal “corso di educazione all’affettività” del consultorio privato di matrice confessionale e perché eventualmente i soldi pubblici vadano da qui a là.
Non è forse lo stesso processo che si è realizzato con la scuola pubblica? Le politiche regionali del governo Formigoni in materia di sanità hanno già da anni spianato la strada ad una Riforma Moratti applicata ai servizi socio-sanitari. Oggi che l’applicazione della legge 194 è messa in discussione persino nelle strutture pubbliche, come dimostrano i recenti articoli pubblicati su Liberazione in merito all’obiezione di coscienza, la situazione per le donne rischia di aggravarsi.
Vale la pena di ricordare che il Comune è autorità sanitaria nella conferenza sanitaria cittadina della Asl e deve chiedere il rispetto delle leggi e delle normative nazionali, come la legge 34/96 (un consultorio ogni 20mila abitanti) e il Progetto Obiettivo Materno Infantile, compreso nei LEA (Livelli Essenziali Assistenza). La sindaca Moratti restituirà al consiglio comunale la sua funzione di programmazione e controllo, dismessa dal suo predecessore? E saprà dire che fine hanno fatto quegli 80mila euro stanziati dalla precedente amministrazione comunale per campagne di informazione sulla pillola abortiva RU486, mai utilizzati?
Queste ed altre domande saranno poste dalle donne milanesi alla sindaca Moratti in occasione della seduta del consiglio comunale successiva a quella di insediamento. Una delegazione porterà all’attenzione della sindaca il documento che evidenzia i problemi. Una bella sfida.