Gelo. L’ennesimo sgombero vigliacco sotto le feste ieri a Milano ha buttato in mezzo alla strada i 270 rifugiati politici del corno d’Africa che dal 15 novembre occupavano la casa di via Lecco. Loro sono rimasti lì, fermi sull’asfalto, per tutta la notte, nonostante il freddo pungente, scaldandosi al fuoco, circondati dagli agenti in tenuta anti-sommossa. Non hanno voluto accettare le soluzioni «impossibili» proposte da palazzo Marino e neppure il tentativo di mediazione delle associazioni presenti in via Lecco che li esortavano a scegliere il meno peggio, solo come soluzione temporanea: il trasferimento in un campo di contanier allestito negli ultimi giorni dal comune in via di Breme, come se fossero arrivati l’altro ieri e non vivessero in Italia da molti mesi, in alcuni casi anche da anni. Qualcosa avevano ottenuto, dopo un confronto in prefettura in mattinata: che di fianco ai container fosse allestito un tendono come spazio comune. Ma i rifugiati non hanno voluto nemmeno sentirne parlare e così si è determinata una situazione di stallo. Esasperante, senza vie d’uscita. Mai come ieri è stato tanto evidente l’impasse di tutta la città ormai incapace di mettere in pratica politiche di accoglienza, spazzate via da dieci anni di governo di centro destra che ancora una volta ha fatto il suo mestiere. Reprimere senza alcun progetto, e rilanciare la patata bollente della legalità e dell’immigrazione al centrosinistra. Anche le associazioni che tanto hanno fatto negli anni, questa volta sono rimaste schiacciate tra il muro del Comune, la timidezza della Provincia e la diffidenza dei migranti. Loro, sgombero dopo sgombero, ormai non credono più a nessuno. Allora anche mediare, dialogare, lavorare per progetti lungimiranti, diventa sempre più difficile.
Le forze dell’ordine sono arrivate in via Lecco alle 10 del mattino. Non è stata una sorpresa. Prima di natale il comune di Milano, dopo un mese e mezzo passato a lanciare minacce e a chiudere la porta in faccia a ogni possibile soluzione, aveva tirato fuori dal cilindro una sua «proposta»: alcuni posti letto in due stabili, il campo di via di Breme e altri container in un sottoscala di via Pucci, con una sola entrata e senza finestre. Inaccettabile, e inagibile anche secondo l’Asl. Dopo l’inevitabile rifiuto dei rifugiati, non restava che lo sgombero. Appena hanno visto gli agenti, alcunimigranti si sono incatenati al portone dello stabile, altri sono saliti sul tetto e sui cornicioni. Sono stati attimi di tensione. Sia la polizia sia gli occupanti hanno cercato di mantenere la testa sulle spalle, ma si è corso il rischio che qualcuno potesse farsi male. L’isolato è stato circondato da cordoni di agenti, è stato bloccato il traffico anche nel centralissimo viale Tunisia e sono state chiuse le strade del Lazzaretto, il quartiere degli africani. Alcuni conoscevano gli occupanti, c’era chi telefonava: «Scendi dal tetto, è pericoloso». I vigili del fuoco hanno gonfiato un materasso per scongiurare il peggio.
Sul posto era già presente un drappello di rappresentanti di varie associazioni e forze politiche, Prc, Arci, Cgil, Casa della Cartià, Verdi, Naga, Action Milano, si è fatto vedere per qualche minuto anche Dario Fo. Una delegazione si è recata a colloquio con il nuovo prefetto, Gian Valerio Lombardi, ma è servito a poco. Bontà sua, ha ammesso che i container nel sottoscala di via Pucci non sono una buona idea, e ha concesso il telone in via di Breme. Nulla più. Allora i rifugiati hanno accettato solo di uscire dalla casa. Hanno portato fuori valigie, coperte, un divano e degli elettrodomestici e hanno occupato la via. Quattro pullman dell’Atm erano già pronti a caricarli ma sono rimasti vuoti. La giornata è diventata interminabile e freddissima con i rifugiati decisi a restare a tutti i costi e le associazioni impegnate in un difficilissimo dialogo, in inglese, arabo, etiope senza più interlocutori chiari. Non è servito neppure un «vertice» eccezionale a porte chiuse – su un autobus – per cercare di sbloccare la situazione. Solo 32 etiopi per un attimo sembravano disposti a cedere ma poi sono rimasti con gli altri. A quel punto anche uno come don Virginio Colmegna, della Casa della Carità, ha gettato la spugna; le associazioni si sono aggiornate a questa mattina alle 10 per un incontro alla Camera del Lavoro. I migranti sono rimasti soli, circondati dalla polizia, ad affrontare una notte di incertezza all’aperto. L’unica visibilmente soddisfatta è Tiziana Maiolo, assessore ai servizi sociali del comune di Milano; ha seguito la vicenda al telefono, e ha «ringraziato il prefetto che, con il suo approccio concreto ci ha aiutato a risolvere il problema. Il precedente invece apriva tavoli in continuazione senza mai arrivare alla soluzione». Ferrante, però, diventato candidato alle primarie del centrosinistra, ieri si è limitato a una vaga dichiarazione di rito: «La legalità va rispettata. E le occupazioni abusive non sono un modo corretto e civile di risolvere i problemi. Ma accanto al rispetto delle regole non può mancare la dovuta considerazione per i diritti delle persone».