Milano, il blitz di Albertini: sostituita la targa che ricorda Giuseppe Pinelli

Il sindaco di Milano Gabriele Albertini, tra venerdì e sabato notte, con un blitz degno di miglior causa, ha fatto sostituire la targa, posta in Piazza Fontana, a ricordo dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Dove in precedenza compariva la parola «ucciso» ora si leggono le parole «morto tragicamente». La firma: quella del comune, al posto degli «studenti» e dei «democratici milanesi», che la posero il 16 dicembre del 1977, al termine di un corteo. Molte erano state le polemiche e i tentativi di rimozione in tutti questi anni. Si distinse, fra gli altri, anche il sindaco socialista Paolo Pillitteri, che cercò di farla sparire. Nel 1989, invece, il Lisipo, un piccolo sindacato di Polizia, minacciò addirittura di passare a vie di fatto. Quell’anno la vicenda si concluse con un grande corteo. La lapide venne posta su un cavalletto e cementata. Dal febbraio del 2004, causa la corrosione del tempo, si era anche provveduto, da parte del Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, a sostituirla con una copia identica all’originale. Ora l’intervento del sindaco, in campagna elettorale, a provocare la città e la sua storia. Le reazioni, spesso indignate, non si sono fatte attendere. Giovedì sera una manifestazione, con il consenso di tutti i settori dell’antifascismo milanese, ricollocherà la vecchia targa a fianco della nuova.
Pinelli e Valpreda
Giuseppe Pinelli fu fermato il 12 dicembre, poche ore dopo la strage alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, avvenuta alle 16,37 di quel venerdì. Fu prelevato presso il circolo anarchico di Via Scaldasole da agenti guidati dal commissario Luigi Calabresi. Rimase in questura per tre giorni e tre notti, in stato di fermo illegale. Poco dopo la mezzanotte del 15 dicembre “precipitò” dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi, dal quarto piano. Morì senza aver mai ripreso conoscenza. In quella stanza, oltre al commissario, si erano alternati quattro sottufficiali di polizia e un ufficiale dei carabinieri. La versione fu subito quella del suicidio. Il questore Guida in una conferenza, convocata immediatamente, parlò di «forti indizi» a carico di Pinelli per le bombe del 12 dicembre. Riguardo la sua morte il brigadiere Giuseppe Caracuta raccontò di un «balzo repentino», Pietro Mucilli di «tuffo oltre la ringhiera». Il brigadiere Vito Panessa affermò che, nel tentativo di salvare Pinelli, «in mano gli rimase soltanto una scarpa». Peccato che Pinelli fosse stato rinvenuto ancora con ambedue le scarpe ai piedi. La stessa mattina del 15 dicembre, solo poche ore prima, era stato arrestato Pietro Valpreda indicato come l’autore materiale della strage di Piazza Fontana. Era iniziata la “caccia al mostro”.

Il “malore attivo”
Dopo una prima archiviazione nel maggio del 1970, per «morte accidentale», decisa dal giudice Antonio Amati, su proposta del pm Giovanni Caizzi, si aprì nell’ottobre del 1970 il processo per diffamazione intentato dal commissario Calabresi contro il quotidiano “Lotta Continua”. In questo contesto, nell’aprile del 1971, anche la riesumazione del cadavere di Pinelli, per verificare se vi fossero tracce di un colpo di karatè sferrato durante gli interrogatori che aveva leso il bulbo spinale. Forse la vera causa del malore che aveva provocato la defenestrazione. L’avvocato di Calabresi, Michele Lerner, ricusò a quel punto il giudice Biotti per aver anticipato in privato le proprie convinzioni su Calabresi. Il 7 giugno 1971 la Corte d’appello lo rimosse dall’incarico ed il processo si arenò. Solo il 4 ottobre 1971 si riaprì. Su denuncia della vedova Licia Rognini, il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio emise sei avvisi per omicidio volontario contro Calabresi, i quattro sottoufficiali e l’ufficiale presenti all’interrogatorio.

L’istruttoria si concluse il 27 ottobre del ’75 con il proscioglimento di tutti gli indagati. Una sentenza passata alla storia. L’anarchico, sostenne D’Ambrosio, non si era suicidato ma nemmeno era stato assassinato. «Verosimilmente», a causa di un «malore attivo» e dall’«improvvisa alterazione del centro di equilibrio» fu violentemente spinto fuori dalla finestra. Giuseppe Pinelli, accusando uno svenimento, invece di accasciarsi, con un involontario balzò si ritrovò a scavalcare una finestra di 97 centimetri, spalancando al contempo, quasi in volo, le imposte socchiuse. Un caso senza precedenti. Gli stessi periti d’ufficio esclusero la possibilità dell’evento. Per altro, Pinelli non presentava ferite nè alle mani nè alle braccia. Il corpo era certamente già inanimato al momento della caduta. L’assenza di sangue dal naso e dalla bocca non faceva che confermarlo. Non bastò. Neanche le dichiarazioni degli stessi indagati, tutte in contrasto fra loro e senza che nessuno avesse mai parlato di malore, impedirono al giudice D’Ambrosio di archiviare. Un’infamia.