Milano, “formiche” contro Albertini

Assemblea delle Rsu del pubblico impiego, in 3mila per dire “no” alle privatizzazioni e per difendere salari e servizi

Tremila dipendenti comunali in assemblea non si vedevano da decenni a Milano. Impiegati, educatrici, vigili, bibliotecarie… le “formiche” della città si sono riunite al Mazda Palace per dare un segnale alla “cicala” Albertini. La più grande azienda della Lombardia, con 16mila lavoratori e 6mila precari, si ferma ancora una volta con le idee chiare per il futuro.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso si chiama contratto decentrato integrativo. C’è in ballo il premio produzione 2004 e 86 milioni di euro della contrattazione aziendale 2005. Il Comune vorrebbe legare il 30% del premio e tutto il fondo per quest’anno alla valutazione sul lavoro dei singoli (le fatidiche “pagelline”) ma il dubbio è che i soldi non ci siano e si voglia prendere tempo. Il Comune su produttività e “meritocrazia” non media: «Facciano pure tutti gli scioperi che vogliono», aveva già commentato l’assessore al lavoro Carlo Magri. Al tavolo però il Comune smentisce le sue linee guida per la contrattazione e le schede di valutazione 2004 mai viste da tanti lavoratori vorrebbero darle ora. «Vien proprio voglia di dire: ma vadano a lavorare!», sbotta dal palco Paola Buccianti, nell’introduzione all’assemblea.

Cgil, Cisl, Sdb-SinCobas ci sono – e si vede, dalle bandiere alla sfilata di interventi – e dopo mesi di lotte il dato più significativo è l’unità dei lavoratori nelle Rsu, che hanno puntato tutto su partecipazione e democrazia per ogni decisione, settore per settore, fino alle commissioni che hanno fatto pelo e contropelo alla gestione Albertini (per scoprire che le proposte sul salario della giunta costerebbero di più di quelle dei lavoratori). I migliaia di lavoratori in assemblea si spiegano soprattutto così: tutti con le Rsu. Interviene un vigile: «Non facciamoci usare se vogliono darci di più perché portiamo soldi all’amministrazione. Non siamo gabellieri e non dobbiamo accettare nessun contratto separato». Il riferimento è alla piccola sigla di categoria Diccap che con Uil e Csa (fuoriusciti dalla Cisl) hanno firmato con il Comune due accordi su produttività e “civiche” milanesi. Prenderanno gli unici improperi dell’assemblea: «Vergogna, buffoni, ritirate le firme!», soprattutto dai lavoratori delle “civiche” che da un secolo forniscono a Milano corsi educativi serali per lavoratori, scuole di lingue (l’unico liceo linguistico pubblico di Milano), formazione, assistenza. Dipendenti comunali che hanno già subito la privatizzazione e ora rischiano di vedersi negato il contratto nazionale e aumentate ore e carichi di lavoro unilateralmente. L’idea della giunta Albertini è questa: spezzare i tavoli per categorie, separare e spuntare accordi sulla produttività e minori incrementi.

Le “formiche”, invece, chiedono difesa dei diritti, del salario e dei servizi pubblici. Ma anche rispetto, per la loro professionalità e per la cura del lavoro in servizi essenziali.

A Milano basta dire nidi, scuole materne e biblioteche per capirsi. «Facciamo salti mortali per dare servizi sociali e l’unico interesse di Albertini è vendere il patrimonio pubblico». Sono arrabbiate nere con il sindaco che ha scavato una voragine di 100 milioni di euro in bilancio e versa a consulenti e dirigenti esterni (chiamati a “ristrutturare” il servizio pubblico) quasi 40 milioni di euro l’anno. Dopo aver venduto l’acqua, la Centrale del latte, l’elettricità, la refezione scolastica, i centri sportivi, la gestione del verde ora vorrebbe privatizzare i cimiteri e il patrimonio demaniale (case popolari comprese). Le formiche chiedono scusa ai cittadini per i disagi causati dall’assemblea, «ma la civiltà di una metropoli si misura dal livello dei servizi che offre e Milano comincia ad essere incivile». Non per colpa loro.

Una mozione finale ribadisce l’impegno per l’aumento e il premio produzione generalizzato e orizzontale, il rifiuto di qualsiasi proposta di privatizzazione e esternalizzazione, la stabilizzazione dei precari e uno sciopero generale per fine giugno se non ci saranno risposte. Indietro non si torna.