Migranti, il 60% dei fondi viene investito in politiche di contrasto e di repressione

Dal 2002 al 2004 spesi complessivamente quasi 300 milioni di euro per l’attivazione dei Cpt

«Strutture indispensabili»: così il ministro Pisanu, intervenuto martedì scorso in un audizione al Senato ha definito i Cpt italiani. Nel tentativo di dimostrare la sua tesi, il ministro si è prodigato nel proporre una «scrupolosa analisi dei dati» preoccupandosi di ricordare che nell’ultimo triennio, il numero complessivo dei cittadini stranieri espulsi e respinti alla frontiera è stato di 88.501 nel 2002, di 65.163 nel 2003, di 59.965 nel 2004. Quest’anno, fino al 15 giugno, la cifra ammonterebbe a 25.636. La diminuzione riscontrata nel 2004 sconterebbe l’esito della regolarizzazione e «dell’rrigidimento delle procedure (sic) voluta dalla Corte Costituzionale». Peccato che l’analisi scrupolosa ometta alcuni dettagli niente affatto irrilevanti che i rapporti pubblicati dalla Corte dei Conti a partire dal 2002 permettono di ricostruire.
Primo: le cifre del ministro si riferiscono alle persone allontanate dal territorio dello Stato, mentre omettono i dati sui cittadini stranieri rintracciati in posizione irregolare ma non rimpatriati pari rispettivamente a 62.245 nel 2002, 40.804 nel 2003 e a 34.860 al 1 settembre 2004 (Fonte: Corte dei Conti). In sostanza nei tre anni considerati la somma tra «cittadini stranieri respinti, espulsi e irregolari non rimpatriati» ammonta a 150.746 nel 2002, 105.957 nel 2003 e 80.372 nel 2004. Quante di queste persone sono state trattenute nei Cpt? I trattenimenti in queste «strutture indispensabili» sono stati 8.847 nel 1999, 9768 nel 2000, 14.993 nel 2001, 18.625 nel 2002, 14.223 nel 2003. Per il 2004 il dato disponibile, citato nell’ultimo rapporto della Corte dei Conti, arriva al 30 settembre e conta 11.883 trattenimenti. Un’esigua minoranza.

Sono strutture indispensabili quelle che assicurano nella migliore ipotesi, solo nel 48% dei casi, il raggiungimento dell’obiettivo per le quali sono state istituite (garantire l’esecuzione del provvedimento di espulsione)? Il numero dei trattenimenti non risponde infatti al numero delle persone trattenute, dato che non sono pochi coloro che vi sono entrati e usciti più volte.

Infine: il ministro si è ben guardato dal ricordare i costi che questi non luoghi hanno per lo Stato. Ancora una volta ci viene in aiuto la Corte dei conti. Dal 2002 al 2004 lo Stato ha speso complessivamente per l’individuazione, attivazione, acquisizione, costruzione e gestione dei Cpt 285.128.496 euro (59 milioni circa nel 2002, 131 nel 2003 e quasi 95 nel 2004). Il 59,79% del totale della spesa in materia di immigrazione (almeno di quella che la Corte dei Conti ha potuto verificare) pari, nei tre anni, a 476.831.073 euro, ha riguardato un capitolo specifico delle cosiddette politiche di contrasto, quello dei Cpt, ignorando completamente i bisogni e i diritti degli ormai più di 2,5 milioni di persone straniere che vivono stabilmente nel nostro paese.

A questo punto la domanda è d’obbligo: perché questi dati, resi pubblici ormai da tre anni, non vengono mai citati da nessun leader politico, né a destra né a sinistra, e compaiono solo nei rapporti della campagna “Sbilanciamoci” o di alcune organizzazioni umanitarie? La risposta a parere di molti associazioni e movimenti che lottano sin dalla loro istituzione (e anche prima) per la chiusura dei centri di detenzione, è semplice: renderli pubblici significherebbe ammettere sino in fondo il loro fallimento. Conclusione che continua a risultare imbarazzante, per chi (il governo di centro-sinistra) li ha istituiti, ancora oggi, alla vigilia dell’appuntamento che riunirà ben 13 presidenti di regioni nel forum di Bari l’11 giugno.

Chi da anni denuncia l’illegittimità dei Cpt può ignorare questi dati: la violazione di diritti umani fondamentali, il rifiuto di qualsiasi forma di detenzione amministrativa e di qualsiasi politica che tenda a considerare i migranti esclusivamente come manodopera di riserva e grimaldello per l’attacco dei diritti sul lavoro, sono ragioni più che sufficienti per sostenere con forza che devono essere chiusi. Ma, forse, chi si candida a governare può trovare nella loro diffusione una ragione in più per cambiare idea e per capire che per il loro superamento non sarà sufficiente cambiarne il nome, eliminare qualche filo spinato e costruire qualche campo di calcetto in più al loro interno.

* dell’associazione Lunaria