L’accordo fra governo e taxisti fa discutere; non poteva essere altrimenti, trattandosi della prima vertenza sociale del governo. La discussione è, purtroppo, in gran parte ideologica: le liberalizzazioni. Servirebbe, al contrario, un approccio meno dogmatico e più concreto. Il Ministro Bersani ha parlato di un pareggio fra governo e taxisti. Non credo sia così. Il governo sul merito ha vinto. Il pareggio è, invece, tutto interno alla sua politica ed ai suoi messaggi. Il governo, infatti, si è proposto l’obiettivo di far passare il messaggio: “La soluzione è la liberalizzazione”. Su questo punto ha fatto autogol. Mentre il risultato concreto, nel caso dei taxi, sarebbe stato raggiunto prima, e con meno conflitti, senza la protervia di vincere sullo slogan generale. » ora comprensibile la preoccupazione che, aperta la falla dei taxisti, vi si infiltrino altre categorie inserite nel decreto. Questa preoccupazione non ci sarebbe se si fosse scelta la strada: “Ogni diversa situazione una diversa soluzione”.
Letale sarebbe per Rifondazione aver atteggiamenti ambigui sul gergo liberale. Diventeremmo incomprensibili. Del resto non potevamo non sapere che l’impatto del decreto sarebbe stato utilizzato per spalmare le liberalizzazioni su tutti gli altri servizi.
Le dichiarazioni del Ministro Padoa Schioppa, e lo stesso DPEF, che Il Ministro Ferrero non ha opportunamente firmato, di questo parlano. La legge delega sui servizi sembra andare anch’essa in questo senso. E la vittoria della non privatizzazione dell’acqua potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro: no alla sua privatizzazione, diluvio sul resto.
» necessario al contrario impostare gli obiettivi di miglioramento del funzionamento dei servizi e delle professioni in maniera più concreta e meno ideologica. Ai cittadini non interessano le guerre di religioni, ma effettive soluzioni.
Nel caso specifico è certo che il servizio taxi è insufficiente, in certi particolari momenti e talune città. » certo è che vi sono incrostazioni, privilegi corporativi, zone opache. Il costo delle licenze è la cartina al tornasole.
Ma è anche vero che, al fine di sostenere la tesi della liberalizzazione, si sono dette cose superficiali e sbagliate. Eppure bastava sfogliare lo studio dell’Agenzia per il controllo dei servizi del Comune di Roma o qualche pubblicazione a livello internazionale, per sapere che gli effetti della liberalizzazione del settore, dove queste sono state attuate, non hanno prodotto risultati positivi. Si parla di struttura del mercato sostanzialmente invariata (Inghilterra), frammentazione dell’offerta e aumento dei reclami (Svezia), peggiore qualità dei tempi d’attesa (New York), livelli tariffari quasi sempre aumentati, deterioramento del servizio e dei tempi d’attesa (USA). Forse che anche in Italia le liberalizzazioni degli scorsi anni non hanno prodotto risultati analoghi? Perchè insistere? Del resto siamo in una fase di continua aggregazione dell’impresa e della finanza che porta sempre più a oligopoli o a monopoli privati. Perché nel settore taxi si dovrebbe aprire (attraverso il cumulo delle licenze) a Benetton (non lo citiamo a caso) e soci? Perchè dobbiamo aumentare la “benettonizzazione” nei trasporti: aeroporti, autostrade, autogrill, grandi stazioni ecc ecc. quando, già oggi, proprio in questi settori abbiamo rilevanti problemi di rispetto dell’interesse pubblico? Questa politica, inoltre, non è un attacco alla rendita ma la sua esplosione e finanziarizzazione.
In questa vicenda si è molto utilizzato il termine corporativo. E non a torto. Il corporativismo oggi è purtroppo sempre più diffuso a causa della sconfitta della classe operaia e delle idee d’uguaglianza, solidarietà, bene o interesse pubblico. I taxisti, di cui parte sono ex lavoratori di fabbriche chiuse dalle crisi, non sono diversi da altri. Corporativa è anche tanta parte dei lavoratori. Non a caso in quantità non residuali votano a destra e sono razzisti.
La stessa impostazione politica ideologica dell’Ulivo (e del nascente PD), rifiutando un’analisi classista, porta a vedere la società come un ammasso di gruppi corporativi, al massimo da sciogliere nell’individualismo, e l’impresa e il mercato come gli agenti di soluzioni quasi miracolistiche.
L’altro termine di cui si è ampiamente abusato è quello di consumatore: “Tutto si fa per lui”.
» molto vero che in Italia il movimento dei consumatori è debole e questo non va bene affatto. Ciò è inversamente proporzionale al clamore con cui questa parola è strumentalmente utilizzata.
L’ideologia del consumatore è sbagliata poiché sta a significare che il loro bene non deve trovare limiti e, pertanto, i lavoratori dei servizi devono essere “rullati” nelle loro condizioni e diritti. Si presenta, inoltre, come copertura ideologica degli interessi delle imprese. Sarebbe pertanto più utile utilizzare il termine di “cittadino”. Il consumatore è un individuo che persegue solo il suo interesse, il cittadino è invece l’abitante della città, vive di relazioni, è consumatore e lavoratore. La società, per noi, dovrebbe porsi obiettivi sociali: è meglio consumare meno acqua, energia, spazio, al contrario, le imprese più vendono, più guadagnano.
Dobbiamo, dunque, trarre qualche insegnamento da questa prima vertenza sociale. E’ necessario, per il Prc, affrontare le questioni con letture di classe, pensando a ciò che un tempo si chiamava “blocco sociale e alleanze”. Gli obiettivi di miglioramento dei servizi tutti vanno perseguiti con fermezza ed anche con durezza. Le modalità, al contrario, devono essere viste situazione per situazione, capendone le dinamiche, perseguendo l’interesse del cittadino e la tutela del lavoro. Senza un buon lavoro non c’è un buon servizio. E il liberismo non è la soluzione.