Mezzogiorno sempre più nero

Al Sud in nero un lavoratore su quattro, più del doppio rispetto al Centro-Nord. Metà della crescita dell’occupazione registrata degli ultimi 8 anni nel Mezzogiorno è irregolare. Maroni: presto 750 nuovi ispettori del lavoro

Il ministro del welfare Maroni li definisce «dati drammatici» e annuncia l’assunzione di 750 nuovi ispettori per contrastare lavoro nero ed evasione contributiva. Drammatici lo sono, ma non sorprendenti, essendo arcinoto che l’economia italiana campa (malamente) sul lavoro nero e sul pil occulto. Secondo l’ultimo notiziario economico-statistico della Svimez, nel Mezzogiorno un lavoratore su quattro è in nero, percentuale doppia che nel Centro-Nord. L’esercito dei lavoratori in nero conta 3,3 milioni di persone (un milione e mezzo al Sud e 1,8 nel Centro-Nord), si concentra nel settore dei servizi e, in percentuale, segna il picco massimo nell’agricoltura. Il dato del 2004 – quando il 13,5% dei lavoratori italiani risultavano irregolari – non si discosta da quello dell’anno precedente. La nota negativa, sottolineata dall’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, è l’interruzione del trend di contrazione del sommerso che durava dal 2001. Interruzione causata dall’aumento del lavoro nero nel Mezzogiorno, l’area tradizionalmente più colpita dal sommerso. Tra il 2001 e il 2003 il tasso di irregolarità si è ridotto di 2 punti nel Centro-Nord ed è rimasto stazionario nel Sud.

Il dualismo risulta ancor più evidente se si confronta il 2004 con il 1996: nell’arco di 8 anni le unità di lavoro irregolari al Sud sono cresciute del 18% (233 mila unità, in cifra assoluta), mentre nel resto del paese sono diminuite del 10% (194 mila unità). Significa che metà della crescita occupazionale registrata nel Sud negli ultimi 8 anni (428 mila unità) si è concentrata nel lavoro nero. Questo ha fatto crescere il tasso meridionale di irregolarità dal 20,7% del 1995 al 22,8% del 2004.

La differenza tra le due Italie è particolarmente sensibile nell’industria (in cui rientra l’edilizia): al Sud il lavoro nero tocca il 20%, nel Centro-Nord si ferma al 3,5%. Lo scarto inferiore è nei servizi: 21,2% al Sud contro il 12,2% del Nord. Su scala nazionale lavorano in nero un terzo degli addetti in agricoltura dove la forbice va dal 41% nel Mezzogiorno al 25% nel Centro-Nord.

La regione più nera è la Calabria, dove è irregolare il 32% della forza lavoro. La percentuale «scende» al 25% in Sicilia e al 23,6% in Campania. Puglia e Basilicata viaggiano sul 21%, Sardegna e Molise si attestano attorno al 17%, l’Abruzzo riesce a contenere il lavoro nero sotto il 12%. Se il Sud piange, il resto d’Italia non ha di che vantarsi, visto che un lavoratore su dieci è in nero. Il tasso di irregolarità al Centro Nord è del 25% in agricoltura, del 3,5% nell’industria, del 12% nei servizi.

E’ con queste cifre (e con una realtà che forse è ancor peggiore) che dovranno vedersela i nuovi 750 ispettori del lavoro. Nominati con venti concorsi su base regionale «per impedire le solite migrazioni del pubblico impiego», precisa il ministro del welfare. Gli ispettori, ammette Maroni, non basteranno a debellare la piaga del lavoro nero. «La ricetta più importante è la scuola, la cultura della legalità. Finché c’è una diffusa cultura secondo cui il lavoro nero equivale al lavoro regolare, anzi è meglio perché si guadagna di più, non se ne esce». Parole sante che il ministro dovrebbe rivolgere innanzi tutto ai suoi elettori. I leghisti, sia come datori di lavoro che come prestatori d’opera, hanno una spiccata propensione al sommerso. Il nero che al Sud è un obbligo per la mancanza di alternative, al Nord spesso e volentieri è una scelta.