Mezzogiorno, «non ci sono ricette magiche»

La questione meridionale, più attuale che mai, rimane essenzialmente un problema di sviluppo industriale. Non ci sono quindi ricette magiche. E’ questo il tema su cui ruota la Conferenza sul Mezzogiorno della Fiom-Cgil che si è aperta ieri a Napoli. Almeno su questo il ministro Bersani, intervenuto al convegno, è riuscito a convincere gli smaliziati metalmeccanici: «Un intervento per il Sud non può essere separato dalla politica industriale. Perché l’Italia rimane un paese a forte vocazione industriale». Dalle parole del ministro, dunque, sembra chiudersi definitivamente l’era della contrattazione territoriale avviata nella fase della cosiddetta “primavera del Sud”. Quella, per intenderci, del primo centrosinistra, dei sindaci eletti direttamente dai cittadini nel dopo tangentopoli, quando il Mezzogiorno sembrava restringere la forbice che ancora lo allontana dal resto del paese. Quando, a partire dalla ricerca delle “specificità locali” le parti sociali si impegnarono in un vasto programma di contrattazione decentrata, con forti sostegni pubblici. Di quella fase i metalmeccanici fanno un bilancio «non positivo». «Spesso le imprese, incassati i finanziamenti, non hanno dato corso ai loro impegni, o in qualche caso hanno prodotto conseguenze negative per i lavoratori», dice nella relazione introduttiva Fausto Durante, della segreteria nazionale della Fiom. E’ il caso, ad esempio, di Crotone. Qui – racconta il segretario locale Luigi Corigliano – accade che il progetto di costruzione di una centrale energetica con 240 nuovi posti di lavoro si concluda con solo tre assunzioni, mentre la nascita di una “filiera del legno” si blocca per l’intervento della magistratura. A ricordare che la criminalità è una delle più gravi piaghe del Mezzogiorno sono molti interventi, a partire da quelli del commissario antiracket Tano Grasso e di Aldo Pecora, uno dei ragazzi di Locri.
Il bilancio negativo del Sud si aggrava nell’era Berlusconi. L’epoca in cui a Melfi, Termini Imerese e Scanzano lavoratori e popolazioni del Mezzogiorno scoprono un nuovo protagonismo. Ma anche il periodo dell’«abbandono del Mezzogiorno», quando la crisi economica nel Sud assume il carattere di recessione (alla stagnazione del Nord si contrappone nel 2005 il -0,3% del Pil nel Mezzogiorno). Insomma se il Nord stenta il Sud crolla. Ma anche quando si registrano segnali di ripresa la forbice non si stringe. Lo spiega il vicedirettore della Svimez, importante centro studi sul Mezzogiorno anticipando i dati del “Rapporto 2006”: «Il Sud continua a crescere a un ritmo più lento rispetto al resto del paese». Ancor più preoccupante il dato sulla forza lavoro, con una riduzione di 500mila attivi, a causa della crescita dei disoccupati “disillusi” della ripresa dell’emigrazione – ormai tornata ai livelli degli anni 50 – della straordinaria incidenza del lavoro nero e delle nuove forme di caporalato. Uno scenario che, secondo l’economista Riccardo Realfonso, investe tutta l’Ue, tanto da poter parlare di «mezzogiornificiazione dell’Europa», frutto della concentrazione dei capitali innescata dal mercato unico. Una dinamica che le risorse dei fondi strutturali europei non sono sufficienti a invertire: «chi afferma che nel Sud c’è sperpero di denaro pubblico si sbaglia. Le risorse, al contrario, sono scarse. E il deficit delle bilance commerciali nei paesi del Mezzogiorno d’Europa impone tagli alla spesa pubblica e politiche di contenimento dei salari allo scopo di recuperare quote di esportazione», spiega Realfonso.
Uno stimolo per invertire la tendenza, forse, potrà venire dai 100 miliardi del fondo obiettivo 1 della Ue («gli ultimi di questa portata, dopo l’allargamento» ricorda Bersani) con la speranza che vengano impegnati meglio di quanto accaduto nel quinquennio passato, quando fu speso solo il 56,6%. Sarà questo uno dei temi principali del confronto tra governo e sindacati. Bersani indica come priorità rifiuti, acqua, infrastrutture, ricerca innovazione, ma propone anche la contrastata costruzione dei rigassificatori. La Fiom elenca i settori produttivi prioritari: l’automobile, con la forte presenza della Fiat nel Mezzogiorno; la siderurgia, stretta tra la concorrenza estera, le difficoltà nel mercato energetico e i limiti imposti dal trattato di Kyoto; l’industria aeronautica spaziale, a partire da Finmeccanica, che la Fiom non vuole quotata in borsa; l’Ict, cui dare nuova linfa dopo la crisi dei poli elettronici di Campania e Abruzzo e lo sto agli investimenti nell’St. In questi settori, per Durante ci vuole una netta inversione di tendenza: «Siamo in ritardo su investimenti in ricerca e nuove tecnologie: le imprese italiane sono rimaste al capitalismo familiare o si sviluppano solo col sostegno della banche», accusa il segretario Fiom.