Metodi americani anche a Parigi

La lotta al terrorismo sta distruggendo la legalità nei paesi democratici. Non succede solo negli Usa. In Francia, il processo in corso contro sei ex detenuti francesi di Guantanamo potrebbe venire invalidato in seguito alle rivelazioni pubblicate ieri da Libération: un «telex diplomatico» classificato top secret, inviato il 1 aprile 2002 dall’ambasciata francese di Washington al ministero degli esteri a Parigi fa stato di un interrogatorio dei sei prigionieri, da parte di agenti dei servizi segreti francesi (Dst e Dgse) dal 26 al 31 marzo 2002, realizzato in piena illegalità. L’atto di accusa contro i sei si basa così sui risultati di questi interrogatori segreti, realizzati fuori legge a Guantanamo. La nota diplomatica parla di un’«accoglienza molto cordiale» da parte del generale Dunlavey, comandante della Joint Task Force 170, e sottolinea che agli agenti francesi è stato fornito «un buon sostegno logistico». Il Quai d’Orsay ha smentito ieri l’illegalità e parla di «visite consolari» del tutto normali.
La difesa non ha chiesto ieri la sospensione del processo, ma il rilascio degli accusati, 5 dei quali compaiono a piede libero, a causa del carattere «sleale» della procedura. «Come è possibile fondare una procedura giudiziaria su degli interrogatori segreti realizzati in luoghi dove gli uomini sono detenuti illegalmente in condizioni inumane?», ha chiesto uno degli avvocati della difesa, Jacques Debray. Per l’avvocato William Bourdon, «le regole francesi sono state ignorate nei confronti di persone in stato di grande difficoltà psicologica». Ma per l’accusa ci sono comunque delle «prove giudiziarie accettabili» che mettono in causa i sei uomini, partiti da regioni diverse della Francia, arrivate in campi militari in Afghanistan, dopo aver transitato per Londra. La Pm, Sonya Djemni-Wagner, ha affermato che la procura non è a conoscenza degli interrogatori illegali e che l’accusa si basa sui risultati di quelli realizzati in Francia, sempre dai servizi. La Pm ha precisato che denuncia «l’arbitrarietà delle detenzioni a Guantanamo, le condizioni inumane dell’imprigionamento in quel campo e l’ingiustizia di cui questi uomini sono state vittime». Le udienze, iniziate martedì e che riprenderanno lunedì prossimo, dovrebbero concludersi il 12 luglio. Solo allora il tribunale si pronuncerà sulle conseguenze della rivelazione degli interrogatori illegali. Secondo la difesa, gli interrogatori illegali avrebbero avuto luogo a varie riprese a Guantanamo.
Sta di fatto che anche la Francia, che pure si era opposta alla guerra in Iraq e ha sempre criticato l’approccio Usa che fa ricorso all’illegalità, non si è tirata indietro quando ha potuto usare gli stessi metodi. La scusa è che i sei personaggi sono pericolosi. Brahim Yadel, 36 anni, il solo che compare detenuto, è sospettato di aver progettato un attentato durante i Mondiali di calcio del ’98. Imad Kanouni, 29 anni, studiava biologia a Nizza prima di andare a Francoforte per «studiare il Corano» e poi partire per l’Afghanistan. Anche Khaled Ben Mustapha, 34 anni, di Lione, padre di famiglia, è andato in Afghanistan per «studiare il Corano». Redouane Khalid, 38 anni, della banlieue parigina, ha due fratelli già condannati per terrorismo islamista. Nizar Sassi, 26 anni, della periferia di Lione, afferma di essere andato in Afghanistan per «avventura» e di essere diventato religioso a Guantanamo. Mourad Benchellali, 25 anni, ha avuto il padre, un imam, e il fratello condannati per la filiera cecena. Tutti hanno fatto anni di prigione a Guantanamo.