Metalmeccanici, rottura annunciata

Ora le carte sono veramente scoperte. La trattativa sul rinnovo del biennio economico del contratto dei metalmeccanici è a un passo dalla rottura. L’annuncio ufficiale è stato dato ieri, al termine della riunione dei tre segretari nazionali (di Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm), dal segretario della Fim, Giorgio Caprioli. La Fim «giudica esaurite le possibilità del negoziato sul rinnovo del biennio economico del contratto nazionale di produrre risultati positivi. Dopo quasi un anno di trattative, i passi compiuti da Federmeccanica sul salario e sul mercato del lavoro sono largamente insufficienti. L’unica possibilità di riaprire il confronto era affidata alla capacità di Fim, Fiom e Uilm di costruire una proposta unitaria. Nonostante gli sforzi di tutti non è stato possibile». Abbiamo riportato integralmente il passaggio decisivo della nota Fim perché contiene, seppure in modo oscuro, il nodo della divisione realizzatasi ieri: una rottura completa, più che con Federmeccanica («largamente insufficiente»), con la Fiom e la Uilm («impossibile costruire una proposta unitaria»). Federmeccanica non si è spostata di molto dalla sua proposta iniziale – 60, massimo 70, euro di aumento salariale in cambio di una cancellazione del ruolo negoziale delle rsu di fabbrica sulla modulazione dell’orario di lavoro – ma non si capisce quale possa essere la «proposta unitaria» che i sindacati di categoria avrebbero dovuto elaborare per conto proprio.

La piattaforma con cui si sono presentati al tavolo, infatti, non è un «parto» della mente dei tre segretari nazionali, ma il testo sottoposto al referendum di tutta la categoria (un milione e seicentomila lavoratori). Lo fa notare, con la consueta calma, Gianni Rinaldini, segretario della Fiom, quando ricorda che «la nostra posizione è quella della piattaforma unitaria approvata da oltre il 90% dei metalmeccanici. Se esiste una piattaforma diversa da parte di Caprioli sarebbe meglio farlo sapere ai lavoratori interessati». Ne va del ruolo del sindacato, in grande misura: rappresentante riconosciuto dei (e dai) lavoratori o soggetto negoziale autonomo indifferente agli interessi (e alle opinioni) dei «rappresentati»?

Che di questo, in fondo, si tratti, lo confermava qualche ora dopo lo stesso Caprioli in una dichiarazione resa ai microfoni di Radio Popolare: «dopo un anno di stallo bisogna fare dei movimenti nella trattativa; se domani (oggi alle 14,30, nella sede di Confindustria, ndr) andiamo a riproporre la piattaforma è come se sperassimo in un miracolo. Ma i miracoli non avvengono». Più chiaro a voce che su carta: sono i sindacati, per la Fim, a dover cambiare posizione, assumendone una non vincolata al parere espresso dai lavoratori.

Federmeccanica ci ha messo un attimo a cogliere la divisione e a cercare di sfruttarla fino in fondo. Il direttore dell’associazione, Roberto Santarelli, si è detto «preoccupato che il sindacato non riesca a trovare una posizione comune», ma – ed ecco il `bacio della morte’ – «ha ragione Caprioli», perché Federmeccanica «il suo l’ha fatto, ora tocca al sindacato». Il numero uno della Cisl, Savino Pezzotta, non ha avuto esitazioni nello schierare la sua confederazione sulla linea di Caprioli: «noi siamo per una trattativa vera (quella condotta fin qui era finta?, ndr), si è al punto in cui tutti devono esplicitare le proprie proposte». Altrettanto ha fatto, per la Cgil, la segretaria confederale Carla Cantone, secondo cui «è assurdo interrompere le trattative», perché «non vedo i motivi per cui bisogna arrivare divisi all’incontro con Federmeccanica, a meno che qualcuno non voglia mettere in discussione la piattaforma unitaria».

La situazione, a questo punto, presenta rischi altissimi. Nella mossa della Cisl ci può anche essere la speranza di ripetere l’esperienza degli «accordi separati» (come avvenuto negli ultimi due rinnovi contrattuali); ma gli imprenditori del settore sono stati fin qui categorici nel rifiuto di ripercorrere questa strada. Anche perché – se il punto in gioco è quello di cancellare il ruolo delle rsu – è stato dimostrato che senza la firma della Fiom ogni accordo normativo, semplicemente, non può essere applicato, vista la consistenza maggioritaria di questo sindacato.

E allora? Il rischio è quello del «gioco al massacro», con gli industriali che preferiscono non andare a nessun accordo, fissano unilateralmente una cifra a titolo di «aumento salariale» e poi si muovono come se non esistesse più nessun contratto nazionale. L’anno di scioperi che abbiamo alle spalle, a quel punto, sembrerebbe quasi un anno di pace sociale.