Mele (Ds): l’impegno a Beirut non sconvolga la finanziaria

«La missione in Libano non può comportare il deperimento di quelle voci del bilancio dello Stato relative a Welfare e diritti sociali. Anche perché la situazione finanziaria risultava già difficile prima dell’assunzione di questo nuovo impegno. Mi sembra un’operazione di buon senso chiedere di rivedere la nostra posizione in Afghanistan». Così il senatore dei Ds Giorgio Mele interviene nel dibattito relativo alla possibilità di finanziare la missione a sud di Beirut attraverso una revisione della partecipazione italiana alle operazioni di Kabul. E si dice favorevole a una soluzione del genere, perché «i soldi devono essere trovati perlopiù nel perimetro economico del ministero della Difesa».
Sarebbe legittimo, a suo avviso, aumentare le spese militari per far fronte agli ingenti costi della missione in Libano?
Di certo c’è che occorrerà trovare una formula politica ed economica in grado di «onorare» questo importante impegno, in grado di renderlo possibile. Ma è chiaro che sul «come» dovrà essere aperto un confronto all’interno della maggioranza, affinché quei costi non finiscano con il deperire altre importanti voci, come quelle relative ai diritti sociali e al Welfare. I soldi devono essere trovati perlopiù all’interno del bilancio della Difesa, che sicuramente deve configurarsi come il ministero sul quale far ricadere la maggior parte degli oneri.
Dunque sarebbe favorevole a ritirare il contingente italiano presente a Kabul?
Si, perchè una scelta di questo tipo sarebbe motivata da ragioni tecniche e di buon senso. La missione in Libano rientra in un quadro complessivo che vede rilanciato il nostro ruolo in Medio oriente. Da questo punto di vista cambiamo molte cose sullo scacchiere internazionale. E la responsabilità che gli altri Stati ci chiedono di assumere legittima anche una diversa allocazione delle nostre forze. Si tratta di una soluzione già sperimentata dal presidente del consiglio spagnolo, José Louis Zapatero, che ritirò le truppe dall’Iraq per trasferirle in Afghanistan. Che, nel nostro caso, avrebbe anche il merito di corroborare le ragioni che ci portano nel sud del Libano. Sarebbe cioè una scelta possibile nel quadro generale delle missioni internazionali.
Quando dovrebbe essere posta questa questione all’attenzione del governo?
Credo che il momento più opportuno sia rappresentato dal passaggio in parlamento del decreto legge che darà il via libera alla missione. Ma non solo: il dibattito dovrebbe proseguire anche nei mesi successivi, che vedranno impegnata la maggioranza nell’approvazione della legge finanziaria.
Tornando al contesto internazionale come giudica l’eventuale defezione di Stati importanti, come Francia o Germania?
Credo che una missione come questa o è internazionale o è meglio non farla. E’importante che da tutti arrivi una assunzione di responsabilità. Si tratta di condizioni che giudico fondamentali, perché la mancanza delle stesse si tradurrebbe nella mancanza di un accordo politico, dal quale deve scaturire anche la nitida definizione delle regole di ingaggio.