Medio Oriente, domani il vertice Olmert-Abbas

Discuteranno «dell’orizzonte politico» dello Stato palestinese domenica prossima a Gerusalemme il premier israeliano Olmert ed il presidente palestinese Abbas, nel primo degli incontri bisettimanali annunciato il mese scorso dal segretario di Stato americano Rice. «Cominceremo a parlare di quale potrebbe essere l’aspetto di uno Stato palestinese», ha dichiarato ieri la portavoce del primo Ministro israeliano Miri Eisin.
Tuttavia tre questioni essenziali sullo status finale del futuro Stato di Palestina restano fuori dall’agenda: la definizione dei confini, lo status di Gerusalemme e la questione dei rifugiati. Nel prossimo vertice si parlerà anche di sicurezza, legislazione, commercio e misure fiscali. Altra questione centrale dell’incontro sarà quella dello scambio di prigionieri palestinesi con il soldato israeliano rapito a Gaza lo scorso 28 giugno da miliziani palestinesi (Hamas, Jihad Islami, Esercito dell’Islam). Per la portavoce di Olmert «la questione Shalit non è risolvibile da parte di Abu Mazen». Agli occhi dell’amministrazione israeliana, con la formazione di un governo con gli islamisti di Hamas ed il mancato rilascio del caporale Shalit, Abbas non sarebbe impegnato seriamente per progressi significativi verso la formazione di un’entità statale palestinese. Ieri due manifestazioni pacifiste contro il muro tenutesi a B’lin e vicino Betlemme hanno inteso ricordare al governo israeliano che anche la sottrazione illecita di terra palestinese non dimostra un impegno sostanziale nel processo di pace. Entrambe le manifestazioni si sono concluse con scontri, feriti tra i manifestanti e arresti. Per il portavoce del governo palestinese Mustafa Barghouti, l’ennesimo passo indietro per una conclusione della questione Shalit ricade sul governo Olmert, definito «pienamente responsabile per il procrastinarsi della detenzione dell’ostaggio». Secondo l’establishment della difesa israeliana, citato dal quotidiano “Jerusalem Post”, sarebbe la crisi interna ad Hamas, che prelude alla formazione di almeno tre distinte correnti all’interno del movimento islamico, la chiave di lettura del rallentamento della soluzione negoziale per lo scambio di prigionieri e del persistere dell’ingovernabilità e delle violenze interne a Gaza. Il governo israeliano ha respinto l’ultima lista nomi di detenuti politici palestinesi da scambiare con Shalit presentata dai palestinesi, affermando di non poter rilasciare elementi «con le mani sporche di sangue», in quanto responsabili o coinvolti in attentati terroristici.
Giovedì il ministro della difesa israeliano Peretz ha sottolineato che i negoziati per lo scambio dei prigionieri «saranno lunghi e duri». Tuttavia, secondo un sondaggio pubblicato giovedì dal quotidiano israeliano Maariv, quasi la metà dei cittadini dello Stato ebraico (45%) è favorevole alla scarcerazione di prigionieri considerati estremisti come contropartita per la liberazione del soldato. Domenica è anche giorno di riunione del gabinetto ristretto per la sicurezza del governo israeliano, dove si discuterà dei sui criteri con cui selezionare i detenuti palestinesi suscettibili di essere scarcerati. L’annuncio che lo scambio di prigionieri politici palestinesi con il soldato israeliano rapito non fosse più dietro l’angolo era stato dato mercoledì dal consigliere del presidente palestinese, Nabil Amr. Si è trattato di una conferma, dato che i portavoce delle milizie palestinesi avevano già smentito le dichiarazioni del presidente Abbas, che solo pochi fa si era espresso su un imminente rilascio sia del soldato israeliano che del giornalista britannico rapito Alan Johnston (sequestro contro cui i giornalisti palestinesi continuano a manifestare contro il governo accusato di inefficacia nel risolvere la vicenda). «Il presidente Abbas ha espresso ottimismo sull’implementazione dell’accordo (sullo scambio, n.d.r.) al più presto possibile, ma le cose si sono complicate nuovamente» ha dichiarato ai giornalisti Nabil Amr, che ha aggiunto che lo scambio avverrà «appena possibile dato che il prezzo per il ritardo o per un fallimento è alto» ed «i palestinesi hanno pagato un prezzo molto alto per questo rapimento», ha detto ancora Amr in riferimento alle incursioni dell’esercito israeliano a Gaza dell’estate scorsa. I prigionieri politici palestinesi sono in carcere in Israele sono attualmente 11mila, di cui 350 minori. Altri 35 sono stati deportati a Gaza (fonte: Palestinian prisoner society – Pps).
Ma veniamo alla crisi interna che si profilerebbe in seno ad Hamas. Secondo fonti della difesa dello Stato ebraico nell’ambito del principale movimento islamico palestinese emergerebbero tre distinte correnti. Una facente capo a Khaled Meshaal responsabile dell’ufficio politico di Hamas ed esiliato a Damasco, passato, con la sottoscrizione degli accordi della Mecca dal campo dei “falchi” a quello delle colombe del movimento, in cui spicca la figura del premier Haniyeh, accusati dalla corrente a cui farebbero capo l’ex Ministro degli Esteri al-Zahar e l’ex ministro degli Interni Siam di aver capitolato nei confronti di Fatah e dell’Olp con l’ingresso nel nuovo governo di unità nazionale e l’accettazione degli impegni sottoscritti con Israele. La terza corrente, ancora più radicale, farebbe invece capo a Ahmed Jaabri, leader della fazione armata del movimento a Gaza.